L’ElzeMìro-Il gusto del fisioterapista 7

tumblr_ovntm8x5p21rz2lkvo1_1280

                                                                                Charles Sheeler (1883–1965) Classic Landscape, 1931

Il costume da professore dell’Elzemiro non può non agitarsi a far notare che questa volta il radicale Alabama affronta addirittura il sonetto. Il sonetto per chi non lo ricordasse non è un suonino ma una forma di composizione antica; qualcuno direbbe antiquata già che oramai si accetta e si crede poesia (con fermo cuor siccome crede la vedovella al tempio, oh caro Jago)  qualsiasi accostamento di frasi senza il dovere di suonare insieme, come invece persino nel jazz. Gioca ai soldatini nel cortile di psichiatria il contemporaneo; dominato dal risentimento e spaventato persino dalle allucinazioni che ne costituiscono la tonalità; qualunque buon occhio clinico, disincantato cioè, vedrebbe che è malato dal principio di una mutazione irrisolvibile, fine del principio di individuazione. Così come una particella può essere allo stesso tempo qua e là così un umano per il clinico può nello stesso tempo essere vivente e morente. Punti di osservazione. In questo marasma e si consideri con questa parola proprio l’atto, il dibattersi che annaspa finché non annaspa più, in questo marasma mondiale le parole sono smozzicate, smangiucchiate, basti dire che la recitazione all over the world, da messaggera di chiarezza goldoniana, il teatro era un altro mondo di sintassi scintillante del tutto inventata (cioè rinvenuta, incontrata, scoperta), si è mutata in balbettio, borbottio, borborigmo, diraspamento, farfuglìo, glu glu di cannelle ostruite, lisca, rumore non di pialla ma di carta vetrata grana p12; le voci sono attacco d’angina, autofaghe (se magneno da sé isse), insulto cardiaco, lamento di balbuziente o di analfabetico; la parola esatta sarebbe riconoscere un ordine che al vocabolario non è più concesso. Noi siamo nipoti dello sfacelo. ( che in greco veniva a dire puteolente pus). Ebbene la scoperta del sonetto; due quartine ABAB seguite da due terzine CDC;  nella prassi dal metro variabile, qui, passata  le prima quartina di novenari a questi si alternano nella seconda gli endecasillabi, per cambiare piede (alterno pede) come di una danza in equilibrio tra ripetizione e variazione, tra melodia e sincope, prima di lasciare che l’endecasillabo prevalga, domini e concluda le terzine. Semplice, è la forma sonata direbbe il musicista. Ma per fare poesia occorre(va) essere almeno musicali. Oggi però, chiunque sordo a battere e levare o sordomuto proprio, e che pesti appunto su un tamburo o passi il pettine tra le labbra è poeta. La narrazione dell’Alabama, ha scritto una lettrice, pare invece una sintesi, logorroica, ma sintesi; la signora non ha notato che tuttavia immobile, l’Alabama non perde mai il controllo sul cimino della sua canna da pesca. Si è evitato il paragone con il gioco degli scacchi. Anzi pare quasi che là dove egli devia non ponga il proprio interesse (che ti sposti a te pedone con noncuranza) e voglia che a te lettore/ascoltatore interessi prendere per stradette secondarie; per poi attaccarti la retroguardia dritto giù dalla statale che, a conferma dei tempi d’oggi ridotti a spray senza boccetta sotto, si chiamano regionali. E adesso lasciar dire Alabama.

I cani di Amrum, sonetto scherzetto

I cani con certezza sanno…
rinchiusi latrano alla notte
i cani, che non perdonano
ai fantasmi le loro rotte,

Ascolta… la bocca del buio che alta
mugola, ha una voce speciale,
un tempo che il metronomo ribalta,
sanno i cani che non ha eguale…

Ci sono telefoni muti appesi
ai muri di Amrum, l’isola piatta
im Meer, sotto zero i malintesi,

Il tè non sa dei suoi molteplici usi
sfuso, nella sua scatola di latta
riposa. I cani latrano rinchiusi.

…pensarci bene la battaglia non è diversa per uno che ha fatto il liceo classico.  ho più abitudine alle armi di loro picchiatori che sono solo degli apprendisti.   solo alcuni in uno scontro sarebbero capaci.   ho dalla mia l’istruzione di stato.  tuttavia il corpo a corpo.   più efficace e silenzioso in tante occasioni.

ma sono passati i tempi per qualsiasi corpo a corpo.  il sesso o come lo vuoi chiamare è una sopravvalutazione di un borghese yiddish di vienna.  il  resto è il sogno di un manzo.  frucche frucche marescià.  anche le donne.  manze.  esagerano.  e sono le uniche che hanno il vantaggio della simulazione.  il maschio a letto è solo che sia solo o in compagnia.  manzi cose così.  allora per dire kim il mio whistleblower lo pago come promesso e mi indirizza a  un’ostia di palestra maciste.  sui viali della circonvallazione di tutti i peruani mescaleros cingalesos sfigati arabi elisir di take-away.  viali che vivono solo due fasi del giorno.  alba e sera.  il resto del tempo scorre come al fronte.  stille nacht tra bombardamento e assalto.  citofono maciste.  cortile interno basement.  strategia non chiedere.  andare vedere aspettare.  mi siedo in ombra su una panca che puzza di plastica di calzini e asciugamani.  mi sento una demoiselle chanel che valuti i pesi da mettersi addosso.  sto lì e arriva un vecchio cattivo.  un nano un metro e sessanta e forse nemmeno.  puzza di carogna fuori e dentro.  cammina parla e si siede duceduce.  non sa di essere già morto.  non sa che gli ho già fatto l’analisi del sangue al passato remoto.   mi chiede che fai.   niente mi hanno detto che hai alcuni ragazzi  in gamba.  sorride e purtroppo lascia che il mio sguardo perlustri gli sfiati tra i suoi denti uno si due no.  fiatella da postino con cento francobolli incollati alla lingua.  siiiii qualcuno c’è ma per fare mi chiede non ti conosco mi dice mai visto agli incontri.  può darsi ma se uno volesse organizzarsi per  tirare pugni senza prenderli.  vai a cagare non voglio storie.  qui sono tutti ragazzi puliti se sei uno sbirro vai due volte a cagare e svuotati.  e perché mai dico gentile.   vengo per chieder con cortesia lo stesso pretendo.   dimmi se hai un paio anche tre che ci sappiano fare.   propongo un lavoro.  onesto.  un uccellino mi ha detto gli dico ridendo che tu hai una coppia di orsetti capaci di far solo paura a guardarli senza alzare un ditino e io apposta sono qui.  ho un locale dico.  cioè da aprire.  manca poco.  zona giusta per sceicchi.  tiro a caso un nome che lo confonda.  couscous.  si tratta di garantire ma garantire garantire ordine e rispetto. ordine e rispetto ripeto come se dicessi una password abbastanza fascia e appetibile per il nano.  mi chiede di lasciarlo pensare.  immaginarsi pausa utilizzata per raccogliere in tresca i pensieri.  adesso non li ha sottomano quelli che.  passa al lei.  questi niente vede sono ragazzini.  ma ho una bella coppia.  dove le devo mandargli.  domani dopo il lavoro 8-18.  due.  ore diciannove allora indirizzo di baires a titolo tranquillante e trappola.  verranno malintenzionati garantito.  scatterà la trappola.  me ne vado fingendo cordialità.  ma la trappola non scatterà.  domani i ragazzi non arrivano né alle 19 né alle 20.   alle 21 me ne vado con pancho a mangiare lì davanti all’autogrill birra gelata. odio. trancio di pizza.  dalla vetrina casomai si controlla il portone del casamento .  nada de nada.  filo alla palestra con pancho.  strano.  il nano cazzeggia a bocca chiusa con la lingua tra un dente e l’altro.  strano.  domanda se siamo in macchina.  sì.  andiamo. sì.  in auto è chiaro che è tutto banalmente pericoloso.  guida pancho fingo di aggiustarmi il giaccone e grattarmi.  coltello e glock a riposo.  il nano chiede di fumare dico di no.  arriviamo fuori corso zona  aeronautica.  base ponti radio radar forse.  crematorio non lontano.  una cascina buia.  resti medievali di boschi.  piove come si deve.  finalmente nel buio un condominio anni quaranta in rovina.  sbarre roymerlin alle finestre e luci.  qualcuna 5000 kelvin verdolino cinese.  intonaco esterno a chiazze.  parabole.  la cultura nasce sull’antenna del civile.   motori di condizionatori appesi.  alla luce arancione di una lanterna stradale si possono osservare dei vasi ai balconcini di cemento.  ex gerani monconi stecchiti. .. sotto la lanterna una lavatrice sfondata e un materasso che perde la lana.  la maggior parte delle tapparelle è come la dentatura del nano.  non ho idea se tutto puzzi o qualcosa è la roggia che costeggia preciso lì sotto il block.   c’è persino un ponticello al portone.   due lastre di pietra giuntate e parapetto tubolare di ferro.   il nano citofona.  nix nix nix.  citofona altrove il nano. tempo d’attesa poi intimo russa.  risponde un dakarasciò o qualcosa.  ahia lo conoscono ..  glick si sblocca il portello la glock fa sentire il suo cuore al mio.  piove di più.  il nano guida attraverso il cortile.  scala b saliamo.  rumori da film uraloaltaico dalle porte.  tutte desolante plastica verde anni settanta e luci verde cinese 5000 kelvin dai soffitti.   una bambina ciabatta nel corridoio piano secondo.  in mano terrina con due uova.  si ferma a un uscio ci guarda noi tre.  bussa dice ciao.  le aprono berciando extraeuropeo.  china la testa come chi attenda  le botte e sparisce.  curioso silenzio.  prego la non più vergine glock di esserci.  il nano suona un campanello.  silent night.  bussa suona.  al tre si apre l’uscio davanti.  è il dakarasciò di prima un T34 tutto cingoli nudi per traverso.  bla bla bla.  scroscio di sciacquone.  dietro guizzano nel campo visivo due tette more.  il nano s’incupisce ma pajalsta.   ce ne andiamo.  dice che il T34 non li vede da un po’.  quanto po’ non si sa.  da ieri boh.  il nano sul ponticello si ferma.  fammi fare due tiri dice prima di entrare in macchina.  fai due tiri.  accende una camel.  io così per sgranchirmi i ricordi di un mondo dove le rogge servivano ai campi con romanticismo e zoccoli connessi faccio due passi lungo il rivo che trotta.  svolto per un viottolo che costeggia il block.  a sinistra il terreno di un capannone distrutto.  alberi in vista. un campo cosa. continuo. fondo fangoso. la roggia angola e si allarga a sinistra e lì vedo i due.  pancia in su nell’acqua. sarà meno di un metro.  ma non sono affogati.  due angiolilli gemelli sorridenti le due bocche quella naturale e quella della gola intagliata a coltello.  sorrisi da scultore professionale.  il nano arriva e urla e strepita si batte il petto di pugni. capito tutto.  il nano urla. roba da tenergli aperta la bocca e vomitarci dentro. ..  chiamerò la polizia. chi è.  riattacco.  è d’uopo.  ma tanto due di meno.

Pasquale D'Ascola

Pasquale Edgardo Giuseppe D'Ascola, già insegnante al Conservatorio di Milàno della materia teatrale che in sé pare segnali l’impermanente, alla sorda anagrafe lombarda ei fu, piccino, come di stringhe e cravatta in carcere, privato dell’apostrofo (e non di rado lo chiamano accento); col tempo di questa privazione egli ha fatto radice e desinenza della propria forzata quanto desiderata eteronimìa; avere troppe origini per adattarsi a una sola è un dato, un vezzo non si escluda un male, si assomiglia a chi alla fine, più che a Racine a un Déraciné, sradicato; l’aggettivo è dolente ma non abbastanza da impedire il ritrovarsi del soggetto a suo Bell’agio proprio ‘tra monti sorgenti dall’acque ed elevate al cielo cime ineguali’, là dove non nacque Venere ma Ei fu Manzoni. Macari a motivo di ciò o, alla Cioran, con la tentazione di esistere, egli scrive; per dirla alla lombarda l’è chel lì.

Ti potrebbero interessare...

Login

Lost your password?

Per continuare a navigare su questo sito, accetta l'informativa sui cookies maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

Chiudi