
Autore: Fiore Peppe
Genere: Narrativa
Pagine: 217
Prezzo: 17.00 €
Peppe Fiore, napoletano trapiantato a Roma e già autore di tre libri tra cui La futura classe dirigente (Minimum fax 2009), continua sul filone dei romanzi “aziendali”, non tanto per concentrarsi sul processo produttivo, ma sulle relazioni e i pensieri umani. Un’azienda qualsiasi, un collega qualsiasi, un capo qualsiasi, un giorno qualsiasi, una pausa pranzo qualsiasi. Una vita qualsiasi che può essere la nostra o quella del nostro vicino di scrivania. Impossibile non riconoscersi nel protagonista, Michele Gervasini, concentrato di medietà che cela dietro i vetri degli occhiali un’anima libera. Anche se non lo sa.
“I colleghi sono persone fino a un certo punto” è il monito che lancia il libro sin dalla copertina. Un po’ si rivolge al lettore curioso o addirittura infastidito perché punto nel vivo, un po’ al Gervasini protagonista e uomo, chiuso nel mondo inattaccabile di un’azienda perfetta in cui l’unico sindacalista vive la frustrazione di sentirsi inutile. E se un giorno tutto fosse messo in discussione da un suicidio? E poi da un altro? E da un altro ancora? Attraverso un linguaggio ironico e corrosivo, Peppe Fiore indaga il cambiamento di un uomo che ha fatto del proprio lavoro l’unica ragione di vita, riconoscendovi e riconoscendosi forse un ruolo troppo importante rispetto alla realtà delle cose, e che da un momento all’altro vede crollare tutto. Nessuno è indispensabile nel processo produttivo, perché per quanto si possa far bene il proprio lavoro, ci sarà sempre qualcun altro pronto a sostituirsi senza significative differenze. Ma nessuno è indispensabile anche perché se un giorno ci mettessimo completamente in discussione, uscendo dal meccanismo, non è detto che senza di noi si incepperebbe tutto; quindi perché continuare a crederlo?
Il collega è un individuo con passioni, sentimenti e storie da raccontare. È un uomo come noi, ma con il quale ci relazioniamo per il minimo indispensabile, un po’ per superficialità e un po’ perché non possiamo fare altrimenti. Si tratta di relazioni umane fino a un certo punto. Gervasini è stretto in un mondo di aspettative che non riesce a soddisfare, di risposte che non riesce a dare, ma quando l’ossessione delle risposte viene meno, forse, la reale volontà della persona riesce finalmente a emergere. È ancora un uomo colui il quale ogni giorno timbra un cartellino e si siede a una scrivania pensando che ciò basti per essere felice? Se la stessa aria che si respira da anni, di colpo, diventa pesantissima, significa che si è rotto qualcosa. Forse il trauma di quei suicidi non colpisce solo la stabilità economica di un’azienda in procinto di quotarsi in borsa, ma la stabilità psicologica di chi ha basato sulla sicurezza del contratto a tempo indeterminato tutta la propria vita. E non per questioni di sostentamento, ma di realizzazione personale e sociale. I colleghi di Gervasini sono persone sposate con l’azienda per cui lavorano che non si erano preparate a un tradimento.