
Traduttore: E.Liverani
Pagine: 504
Prezzo: 20 euro
Juan Gabriel Vásquez ha poco più di quarant’anni ed é già vincitore per le sue opere di un considerevole numero di premi letterari.
Non è l’unico, ma é fra i pochi a vincere e a interessare un pubblico vasto con romanzi alquanto singolari come questo le cui trame sono fittamente intrecciate con la cronaca passata o presente del paese in cui si svolgono.
Leggendo La forma delle rovine, viene fatto di chiedersi se abbia avuto un peso nella scelta di Vásquez di dedicarsi a questo genere di romanzo storico/giornalistico, che ricorda molto da vicino i libri dello scrittore spagnolo Javier Cercas, l’essere nato a Bogotà in Colombia, una delle città e dei Paesi dell’America Latina che più hanno sofferto nel secolo passato e ancora prima, le ingiurie della cattiva politica, delle lotte intestine sfociate in guerre sanguinose e rivolte cruente, il feroce combattimento fra i cartelli della droga e le autorità costituite e le morti di personaggi noti del mondo politico rimaste avvolte per anni in un alone di mistero. Mistero che ha alimentato le più sinistre e a volte strampalate congetture su chi in realtà fossero i veri assassini di personalità come l’avvocato, tribuno della plebe amatissimo e possibile futuro presidente Colombiano Jorge Eliécer Gaitán ucciso con tre colpi di pistola da un fanatico anti-socialista il 9 aprile del 1948 mentre usciva dal proprio studio in compagnia di colleghi e amici. La sua morte, e quella successiva, atroce e truculenta del suo assassino, avrebbe scatenato anni di violenze inaudite in Colombia, anni rimasti impressi in modo indelebile nella memoria di chi li ha vissuti.
E partendo dal delitto Gaitán, così simile per le ipotesi e congetture generate da assomigliare all’omicidio del presidente J.F. Kennedy (un assassino dichiarato che viene ben presto ucciso quasi lo si volesse mettere a tacere; verità dai volti molteplici; coinvolgimento di poteri occulti), Vásquez ci racconta una storia lunga e ricca di dettagli che ha inizio con il suo ritorno in Bolivia dalla Spagna, accompagnato dalla moglie incinta, all’inizio del 2000. Mentre aspetta che nascano le sue figlie gemelle alla fine di una gravidanza difficile, l’autore gira per Bogotà, rivede e ritrova luoghi della sua giovinezza, ripensa alla storia intensa e sanguinosa del Paese e incontra di nuovo persone del suo passato. Fra queste il dottor Benavides, un medico che lo ha curato da ragazzo. A casa di costui conoscerà un certo Carlos Carballo – un tempo assistente del padre di Benavides, medico anch’egli e noto per aver eseguito l’autopsia su Gaitán – un personaggio inquietante e a tratti addirittura sinistro, letteralmente ossessionato dall’idea che proprio sul delitto Gaitán non sia stata mai detta la verità, ma non solo. Carballo sostiene di essere in possesso di prove inconfutabili sulla presenza di un secondo assassino sul luogo del delitto e che l’omicidio Gaitán, lungi dall’essere l’opera isolata di un folle, sia stato deciso nell’ambiente dei conservatori spalleggiati dalla Chiesa Cattolica. Carballo è alla ricerca di qualcuno, uno scrittore, che abbia il coraggio, basandosi sui documenti in suo possesso, di scrivere il libro che metterà ordine nel caos degli inganni perpetrati dal potere costituito intorno al cadavere di Gaitán. Vuol essere Vásquez quell’autore? Vásquez si nega, intanto nascono le due figlie, torna in Spagna e poi, dieci anni dopo, eccolo di nuovo a Bogotà con la famiglia. Di lì a poco i fantasmi di dieci anni prima torneranno a ossessionarlo e si farà convincere a scrivere il famoso libro. Di esso però noi lettori non sappiamo che quello che ci è stato raccontato all’inizio di questo libro perché quello che invece stiamo leggendo è la fedele trascrizione di un altro orribile omicidio avvenuto sempre a Bogotà nel 1914: l’uccisione del generale e senatore liberale Rafael Uribe Uribe ammazzato a colpi d’ascia davanti al Senato da due operai semi-analfabeti. Le analogie fra i due delitti sono impressionanti, il loro seguito di rivolte, sparatorie e morti identico. La superficialità con cui le autorità di polizia svolsero le indagini per appurare se, oltre agli arrestati e rei manifesti, ci fossero altri colpevoli, uguale. E nel delitto Uribe l’unico che alla fine pagò con la distruzione della propria esistenza e carriera, fu il giovane avvocato Anzola incaricato dalla famiglia Uribe di far luce sui reali mandanti del delitto.
Come mai Carballo conosce così bene la vicenda Uribe e parte da questa per convincere Vásquez a scrivere il libro su Gaitán? Perché suo nonno aveva vissuto l’epoca in cui fu ucciso il generale Uribe e insieme al genero, il padre di Carballo, fu coinvolto nella storia di Gaitán. Erano suoi sostenitori, lo conoscevano di persona e dopo la sua morte salirono con gli altri sulle barricate per difendere la libertà che i conservatori minacciavano di togliere al Paese e qui fu il padre di Carballo a trovare la morte. Perché Carlos Carballo ha potuto conoscere suo padre solo attraverso i racconti del nonno ripetuti fino alla nausea da quando era bambino e arricchiti di particolari mentre diventava un adulto. Perché per lui il 9 aprile del 1948 è di sicuro la morte di Gaitán, ma soprattutto il giorno in cui è morto suo padre, sepolto chissà dove in una fossa comune, e dunque visitare in quel giorno la tomba del grande avvocato liberale significa omaggiare anche suo padre, ricordarlo e ricordare le ultime parole che pronunciò davanti al cadavere ancora caldo di Gaitán e alla folla che chiedeva il linciaggio dell’omicida: Tutto questo è già accaduto.
Dice Vásquez:
“Non so quando iniziai a rendermi conto che il passato del mio paese mi risultava incomprensibile e oscuro, un vero territorio di tenebre, e non riesco a ricordare il momento esatto in cui ciò che avevo ritenuto così affidabile e prevedibile – il luogo in cui sono cresciuto, di cui parlo la lingua e di cui conosco gli usi, il luogo il cui passato mi fu insegnato a scuola e all’università, il cui presente mi sono abituato a interpretare e a fingere di capire – iniziò a trasformarsi in un territorio di ombre dal quale sbucavano creature orribili non appena ci distraevamo.” (pag. 441)
E per quanto l’autore ci rassicuri sul fatto che, esclusi i principali personaggi e gli elementi storici narrati, il resto è frutto della propria immaginazione, non riusciamo a non farci coinvolgere da una storia che ha fin troppi punti di contatto con realtà a noi ben note, da una scrittura priva di fronzoli e dalle serrate argomentazioni di chi scrive. Perché se è vero che la forma delle rovine non è per tutti uguale, le rovine stesse sono invece un triste patrimonio dell’umanità in qualunque paese essa viva.