Autore: Stefano Valenti
Titolo: La fabbrica del panico
Editore: Feltrinelli
Genere: romanzo
Anno di pubblicazione: 2013
Pagine: 119
Prezzo: euro 11
“La fabbrica del panico” è la Breda Fucine, stabilimento ormai dismesso della storica azienda Breda (anch’essa non più esistente), operante nei settori metalmeccanico e siderurgico, colpevole dell’omicidio di numerosi operai a causa della lavorazione dell’amianto che in essa era massivamente impiegato.
“La fabbrica del panico” indica anche, in senso stretto, un ente che produce panico, ovvero paura e smarrimento, e tale accezione si riferisce al mondo industriale in generale, le cui prime vittime sono gli operai che vi lavorano.
“La fabbrica del panico”, infine, è la mente umana quando qualcosa si inceppa e funziona male nella testa e inizia a generare, appunto, i cosiddetti “attacchi di panico”.
La fabbrica del panico –Feltrinelli, 2013 – è il primo romanzo di Stefano Valenti, traduttore editoriale che ha narrato la storia sua e di altre persone coinvolte nella scandalosa tragedia delle malattie provocate dall’esposizione all’amianto, disastro che ha come responsabili impuniti la Breda Fucine e, più universalmente, la logica del capitale in cui a regnare è unicamente “una violenta e insensata caccia al profitto” (pag. 78).
L’opera prima di Valenti, oltre al grande valore di denuncia di una vergognosa violenza che grida giustizia, possiede ben altri tre elementi che ne fanno un lavoro considerevole, intenso e molto interessante.
Innanzitutto, l’originalità del libro risiede nel riuscito tentativo di costruire un libro bianco, un rapporto di accusa dello storico scandalo della Breda Fucine e del “mal d’amianto”, attraverso una trasfigurazione narrativa in cui si avvicendano il racconto della malattia del padre del narratore e dei suoi compagni operai con quello del male ereditato e vissuto dal narratore stesso: “Mi ero ripromesso di riferire la storia di mio padre e degli uomini con cui ha lavorato per decenni dentro la fabbrica. Ma è impossibile parlare di qualcosa che non siano le sue sofferenze e le mie” (pag. 85).
La vita in fabbrica del padre, soffocato dalle scorie industriali e ancor più dal terrore di non saper rispondere alla propria vocazione di pittore, la sua ‘ritirata’ nell’originaria Valtellina per dedicarsi al colore, poi il tumore e infine la morte. Tutto questo è alternato continuamente alla descrizione dettagliata e chirurgica delle crisi di ‘timor panico’ (quasi le stesse del padre in fabbrica) di cui è preda il figlio-narratore. E’ il loro Male e quello di tanti altri loro simili a comporre le pagine di un testo che ospita pure il resoconto dell’indecente processo che ha lasciato impuniti i colpevoli principali di tali sofferenze.
L’altro elemento notevole del romanzo consiste nel suo modo di affrontare il tema del dolore e della morte: la narrazione, infatti, a partire da un atto di denuncia sociale della sofferenza umana, trascolora spesso in un urlo di angoscia per il Male che avvelena il mondo e assume spesso tratti quasi metafisici (soprattutto quando il narratore descrive le crisi di panico che lo tormentano; rivelativa, in tal senso, potrebbe pure essere la citazione di Fortini in esergo, un poeta che a partire dal sociale ha avvicinato nuclei di problematica trascendenza).
Infine, stupisce, positivamente, all’interno di un’opera prima, la grande maturità stilistica dell’autore che associa asciuttezza e limpidezza a una grande intensità di scrittura.
Il romanzo di Valenti si conclude con l’immagine della resistenza al Male e al dolore (la diga), nuova angoscia, la ‘sepoltura’ (la morte), il sogno, il ritorno al mondo, il dubbio su ciò che è reale e ciò che non lo è.
Giacomo Leopardi avrebbe senza dubbio consigliato la lettura de La fabbrica del panico, dunque, non possiamo che farlo anche noi.