Grandi riflessi – Orwell: La Fattoria degli animali

George Orwell

Titolo: La fattoria degli animali

Autore: Geroge Orwell

Prima edizione: 1945

Edizione usata per la recensione: Oscar Mondadori, 1967 (trad. Bruno Tasso)

 

La prima volta in cui, ragazzino, mi imbattei ne La fattoria degli animali, ne godei come di una favola di Esopo bene articolata; la seconda, nel pieno della combattività adolescenziale, mi appassionai ed indignai per il tradimento della Rivoluzione che vi era rappresentato sotto il velo leggero di un’allegoria percepibile; la terza, in occasione della presente recensione, ho sorriso nel riconoscere meccaniche politiche universali brillantemente satirizzate. Come tutte le grandi opere letterarie, anche questa ha la capacità di parlare al lettore a più livelli, a seconda della sua maturità, competenze e interessi. Eppure, mentre si apprezza la satira non si può non lasciarsi intrigare dalla vicenda. Se Padre Dante non s’indigna (ma ultimamente pare uso a prestarsi agli scherzi), sediamo a tavola con lui e discutiamo dei Quattro Sensi della Fattoria, ispirandoci alla teoria esposta nel secondo libro del Convivio.

 Il senso allegorico, le favole de li poeti, è la storia di un gruppo di animali inglesi che si ribella a Jones, il proprio padrone e, in nome dell’uguaglianza, organizza la fattoria. Progressivamente, però, si lascia guidare dai maiali i quali, dato che “tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri” (così viene teorizzato dopo qualche tempo), acquisiscono privilegi sino a comportarsi in tutto e per tutto come uomini.

Il senso allegorico, la veritade ascosa sotto bella menzogna, è chiaramente la rappresentazione della Rivoluzione Russa, e qui gli appassionati del periodo storico potranno divertirsi a trovare corrispondenze più o meno puntuali: sotto la maschera del Verro Maggiore, che aveva profetizzato la Rivoluzione e muore prima di vederla, ma viene esposto come un feticcio, si riconosce Marx; il brutale Napoleon, che con violenza ed epurazioni conquista il potere, è Stalin; Palla di Neve, dalla travolgente capacità oratoria e che finirà esiliato e calunniato, non può che essere Trockij; il possente cavallo Gondrano, infaticabile lavoratore che poco comprende, corrisponde a Stachanov, o più generalmente alle masse operaie… Anche la parabola rivoluzionaria è fedelmente ripresa nelle vicende animalesche. In questa chiave, tutte le critiche dal sapore etologico (come possono gli animali comunicare fra loro e con gli umani? Come possono manovrare certi strumenti?) cadono in secondo piano.

 Ancora più interessante è quello che mi permetto di chiamare il senso morale, ossia quello che li lettori deono intentamente andare appostando: in altre parole, l’insegnamento generale. Molte delle dinamiche descritte da Orwell sono ancora perfettamente attuali, e si possono riconoscere tranquillamente nelle strategie di molti uomini politici (non di un solo schieramento), anche senza bisogno di Rivoluzione.

Qualche esempio? Qualsiasi critica al comportamento dei maiali viene sedata, in ultima analisi, con un “allora volete il ritorno di Jones?”. Insomma, agitando lo spauracchio di nemici (le cui colpe peraltro sono piuttosto vaghe nella mente di chi ascolta) o, in alternativa, denigrando presunti traditori, invece di entrare nel merito.
Ancora, l’astuto maiale Clarinetto insegna a greggi di pecore (che rappresentano il popolo meno preparato) a belare slogan ripetitivi e presto svuotati di significato (“Quattro gambe buono, due gambe cattivo”), coprendo e rendendo impercepibile ogni voce di dissenso, senza bisogno di contradittori o violenza.

E che dire, ancora, degli argomenti dei maiali per presentare i privilegi che via via si autoattribuiscono come da una parte necessari a sostenere le loro faticose responsabilità, dall’altra poco significativi, perché non intaccherebbero la loro sostanziale uguaglianza con gli altri animali. Dormono nei letti che furono degli umani? Ciò non è qualitativamente diverso dal riposare in un pagliericcio: in fondo, la vera invenzione umana sono le lenzuola, e sono state tolte. Quest’ultimo aspetto è di attualità sconcertante, visto che molti analisti politici considerano il tratto distintivo della Seconda Repubblica la pretesa dei candidati di presentarsi come sostanzialmente omogenei al popolo (anche nelle passioni, nel linguaggio basso…), per coprire obiettivi ben diversi. Qui ci fermiamo: il lettore attento potrà tornare al libro e scoprire le affinità.

A noi, prima di salutare il Maestro e di ritirarci dalla sua mensa, rimane il quarto senso, il più nobile, quello anagogico o “sovrasenso”, ossia ciò che spiritualmente si spone una scrittura. Per Dante è ciò che un testo significa in modo profondo, così come la fuga degli Ebrei dall’Egitto è l’uscita delle anime dal peccato e il raggiungimento della libertà. Con una piccola forzatura, allora possiamo affermare che Orwell ci sta ammonendo che ogni rivoluzione o moto politico-sociale è soggetto a simili rischi di degenerazione, che possiamo ritrovarci nuovamente servi senza nemmeno accorgercene.

Però ci resta una speranza: Dante parlava da credente delle Sacre Scritture, noi di un libro umano. Per noi, dunque, il senso anagogico non è ineluttabile, ma un ammonimento: sta a noi mantenerci vigili e consapevoli per non lasciarci manipolare. Perché i maiali sono non solo arroganti, ma anche incompetenti, e per gli animali la vita dopo la Rivoluzione è peggiore di quella precedente, sebbene non se ne ricordino.

Tweet: La fattoria degli animali: un classico da leggere (almeno) in quattro sensi (a convivio con Dante) #GrandiRiflessi

 Acquistalo scontato su IBS.it, disponibile anche in ebook!

 

Ti potrebbero interessare...

Login

Lost your password?

Per continuare a navigare su questo sito, accetta l'informativa sui cookies maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

Chiudi