Autore: Gianpiero Berardi
Data di pubbl.: 2023
Casa Editrice: Terra d'ulivi edizioni
Genere: Poesia
Pagine: 79
Prezzo: € 14,00
Giorgio Caproni quando parla di poesia mette subito in chiaro le cose e dice che non è mai stata una sua ambizione definirla.
Quello che conta per il poeta è riuscire attraverso la poesia a scoprire, cercando la sua verità, la verità degli altri, la verità di tutti, o, per essere modesti e più precisi, una verità, una delle tante verità possibili, che possa valere non tanto per se stessi, ma anche per tutti coloro che formano il nostro prossimo, del quale ognuno di noi non è che una delle tante cellule viventi.
«Il poeta è un minatore: è poeta colui che riesce a calarsi più a fondo il quelle che il grande Machado definiva le segrete gallerie dell’anima».
Caproni è diretto nel condannare tutte le forme di narcisismo poetico e scrive che l’esercizio della poesia rimane un puro narcisismo finché il poeta si ferma ai singoli fatti esterni della propria persona o biografia.
Quel narcisismo cessa di esistere non appena il poeta riesce a chiudersi e inabissarsi talmente in se stesso da scoprirvi e portare al giorno quei nodi di luce che non sono soltanto dell’io ma di tutta la tribù.
Bisogna allontanarsi dal solipsismo per fare poesia, per essere poeti bisogna essere coraggiosi e trovare il noi nella zona profondissima dell’io. In questo grande gesto Caproni vede la funzione sociale e civile della poesia.
Ho ritenuto necessaria questa premessa dedicata a Giorgio Caproni, leggendo Desistenza poetica, il secondo libro di Gianpiero Berardi. Il poeta pugliese è un decisamente caproniano: senza orpelli la sua poesia arriva con una lingua diretta, la sua parola scava per tracciare un solco, i suoi modi di dire tengono conto di un’essenzialità che non crea nessun tipo di equivoco.
«Per non essere ipocriti / si finisce massimalisti. / Così chi è disilluso e senza fede / – e ciò malgrado / non sa aggrapparsi al giorno, / canta gemendo la sua disperazione. / Altro non può fare. / Altro non può declinare / se non il verbo della sua condizione».
Nessuna questione della doppia morale nella poesia di Gianpiero Berardi, ma soltanto la consapevolezza di mettere in poesia quello che accade nella ricerca di una lingua che ogni giorno tiene sempre conto che nella legge spietata della realtà sì è in vita, perché si è per morire.
Gianpiero Berardi è un poeta che non sa fare a meno dell’accadere e nella sua poesia impicca la vita alle parole che devono essere dette, quelle che mettono in croce la realtà e non hanno nulla a che fare con «tutto questo ozioso versificare».
Finalmente un poeta contemporaneo che è stufo dell’idea consolatoria ed è convinto che oggi nella poesia rimane da scrivere qualche buona nota a margine.
Desistenza poetica mi ha colpito per la chiarezza di posizione del suo autore: il poeta desiste, fa un passo indietro e cerca nella parola non l’enfasi ma l’azzardo che fa rumore.
Gianpiero scrive dall’avamposto del suo muro della terra, disilluso e senza fede attraversa l’esistenza, con occhi aperti sulla realtà, si affida alla poesia non avendo paura di cadere nel tempo.
I suoi versi non temono il precipizio. Capronianamente il poeta guarda negli occhi la bestia, le sue parole, tra un paradosso e un’invettiva ironica, sanguinano e fanno male.
Il poeta desiste mentre scrive e la sua poesia autentica arriva come uno schianto che suona l’allarme.
Finalmente un poeta contemporaneo che ha il coraggio di scuotere le parole senza preoccuparsi della deflagrazione.