Contesa per una maialino italianissimo a San Salvario – Amara Lakhous

Titolo: Contesa per un maialino italianissimo a San Salvario
Autore: Lakhous Amara
Genere: Narrativa
Pagine: 158
Prezzo: 16.50

Il multiculturalismo è una delle caratteristiche principali di una metropoli come Torino, meta – in diversi periodi storici – di immigrazioni di massa prima interne all’Italia e poi esterne. Una situazione che svela tutte le contraddizioni di una città all’avanguardia, sotto certi aspetti, nel campo dell’integrazione e, dall’altro lato, tristemente nota per diverse realtà di degrado sociale. Amara Lakhous, scrittore e giornalista algerino, torinese di adozione, mette a nudo il conflitto e la soliderietà sprigionati da un quartiere come San Salvario (emblema dell’incrocio tra culture e nazionalità diverse, basti pensare alla celebre sinagoga posizionata a poche centinaia di metri da una moschea). E lo fa in questo romanzo, con una storia apparentemente normale e un’altra apparentemente secondaria.

La questione del maialino conteso a San Salvario è infatti, all’inizio, un aspetto secondario della storia scritta da Lakhous, che racconta la difficile vita del giornalista Enzo Laganà, cardine della cronaca nera locale del suo giornale, figlio di immigrati calabresi e con uno zio nell’ndrangheta. L’intreccio tra criminalità organizzata e tolleranza razziale prende forma in questo personaggio, che porta il cognome di Mario Laganà, brigadiere ucciso presumibilmente da Cosa Nostra nel 1967, ma anche di Maria Grazia Laganà, vedova di Franco Fortugno, vicepresidente del Consiglio Regionale della Calabria ucciso dalla ‘ndrangheta nel 2005.

Torniamo al libro. Una presunta faida tra romeni e albanesi, a cavallo dell’entrata nell’Unione Europea della Romania (il romanzo è ambientato nel 2006), si trasforma in uno spettacolo portato avanti a colpi di scoop e “gole profonde” che aumentano la tiratura del giornale per cui scrive Laganà e il fervore dei cittadini che lo leggono. Qui l’autore suggerisce una critica all’eccessivo scandalismo dei media, che per qualche lettore in più (e per compiacere gli inserzionisti) rischia di dare fuoco a vere polveriere sociali. Il maialino, che qualcuno ha introdotto in una moschea e filmato a insaputa del suo proprietario, il nigeriano Joseph, diventa l’oggetto delle attenzioni – più o meno pacifiche – di diverse fazioni, dai musulmani agli animalisti, fino al comitato “Padroni a casa nostra” e al suo acceso presidente Mario Bellezza. Un rimando, forse, al poeta Dario Bellezza? Non si trovano riscontri nelle caratteristiche del personaggio, anche se nel romanzo c’è un concetto in comune con il poeta scomparso nel 1996. A pagina 34 Laganà riflette sulle radici: «Mio padre ripeteva sempre che gli essere umani hanno lo stesso destino degli alberi: privati delle loro radici, muoiono. E non c’è una radice più forte della lingua». Bellezza scrisse: «[…] il poeta s’arrangia anche in estreme parole, afferrando, magra / consolazione, che la sua patria è la lingua […]» (La patria è la lingua). Non ci dice chi siamo, più che la carta d’identità, la lingua che parliamo o, meglio, il dialetto dei nostri genitori? E vale per tutti.

Le vicende del maialino e della mai verificata faida tra romeni e albanesi, narrate con semplicità e ironia, offrono un piccolo spaccato della vita quotidiana a San Salvario, quartiere centrale con annosi problemi di criminalità ma che riesce ad essere il cuore pulsante della cultura torinese, con locali e centri di ritrovo tra i migliori della città. Ma come nascono le fazioni? Come ci si schiera e perché? Lo stesso protagonista prova a rispondere: «I musulmani, diversamente da noi, non mangiano la carne di maiale perché è haram, illecita. Un maialino piemontese, italiano, anzi italianissimo come Gino, diventa un simbolo, una bandiera, un baluardo per salvaguardare la nostra italianità» (pag.45). Un romanzo sociologico che, tra battute e intrighi, cerca di dare gli strumenti necessari a comprendere, senza pregiudizi.

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