
Autore: Maurizio De Giovanni
Data di pubbl.: 2021
Casa Editrice: nero rizzoli, Rizzoli
Genere: Noir, Romanzo
Pagine: 300
Prezzo: 19,00
A tre anni dall’esordio di una delle più amate protagonista del noir nero italiano, Maurizio De Giovanni ci sorprende con un nuovo capitolo della saga di Sara Morozzi. Si chiama “Gli occhi di Sara” (Rizzoli) ed è in libreria da circa due settimane, a deliziare gli appassionati delle vicende della protagonista, una donna a primo acchito “invisibile” ma che porta con sé un’essenza piuttosto ingombrante. In qualsiasi situazione si trovi, infatti, Sara è in grado di decifrare il linguaggio verbale e non, delle persone che la circondano: caratteristica che la maggior parte delle volte la porta ad intromettersi – professionalmente o personalmente, in situazioni critiche e di non facile gestione. Ormai diventata nonna del piccolo Massimiliano, si trova, questa volta, ad affrontare la tragica situazione di malattia infantile del nipotino di soli tre anni, insieme con Viola – fidanzata del figlio scomparso, e l’amico collega Ispettore Pardo.
Il giorno dell’uscita del nuovo libro, insieme ad alcuni blogger, abbiamo incontrato (virtualmente!) Maurizio De Giovanni che ha risposto per noi a qualche domanda su “Gli occhi di Sara”.
Come troviamo cambiata Sara?
Sara in questo capitolo è molto più intima. A differenza dell’ultimo libro, inoltre, sta cominciando a rileggere il suo passato in maniera nuova. Questa è una cosa che mi spaventa, è un aspetto dalla portata piuttosto importante rispetto al suo futuro. Sinceramente, ho sentito una strana elettricità tra lei ed il medico: mi ha fatto rendere conto che la saga è tutt’altro che chiusa e che Sara ha tutt’altro che abbandonato ogni speranza legata al futuro. Sara ha un atteggiamento talmente limpido nei confronti delle cose che succedono, che non le rifiuta: la sua mancanza di preconcetti, che è la base per poter valutare la sincerità degli altri e quello che pensano realmente, la porta anche ad accettare dei cambiamenti di portata immensa. Non so che farà ora, sono un po’ in pensiero per lei, ma anche molto curioso.
A differenza di ciò che si pensava con il primo libro di Sara, quando sembrava molto chiusa e del tutto determinata a concludere ogni proiezione futura.
Esatto. E io stesso mi sono stupito, perché l’ho trovata in possesso di una carica di femminilità ancora attiva… non ha gli anticorpi! Sono molto in pensiero per lei.
Ti sei reso conto di aver creato un personaggio a tutti gli effetti iconico e voce parlante di un intero mondo femminile? Sara è una vera e propria icona femminista.
Credo che Sara abbia un tale orgoglio per la propria verità, che di fatto è una comunicazione di servizio vivente. Sara comunica che non sono solo gli uomini a poter non tingersi i capelli, non vestirsi alla moda, non mettersi i tacchi: anche le donne lo possono fare, mantenendo un certo fascino e una certa bellezza. Io trovo sempre più intriganti le donne che sono orgogliose di se stesse, quell’orgoglio di non cambiare di cui vanno fiere e che mostrano con chiarezza. Ne vedo sempre più e sono bellissime: jeans, niente trucco, capelli grigi sono davvero sexy. Soprattutto perché trasmettono una consapevolezza senza pari. Continuo ad essere incantato nel descrivere Sara.
Quanto è importante per te che i personaggi riescano a vedere oltre le apparenze?
Credo fortemente che il personaggio principale di un romanzo sia un veicolo, sia per il lettore sia per lo scrittore. Trovo che sia uno dei modi che esistono per attraversare una storia. Dotarlo della capacità di vedere e raccontare certi aspetti della realtà che non sempre si vedono, è come dotarlo di una sensibilità accentuata. Ci sono diversi modi per attribuire una forte sensibilità ad un personaggio, ad esempio con la vendetta, con l’amore, con la rabbia. Invece di scegliere uno di questi elementi, con Sara applico una competenza professionale: lei è in grado di fare qualcosa che scientificamente esiste ed è affinabile, ovvero l’interpretazione del linguaggio non verbale. C’è gente che lo fa per davvero. Mi piace creare ponti e aperture con mondi che non conosco: ho fatto lo stesso con il personaggio di Ricciardi e la comunità delle persone non vedenti. Scopro sempre qualcosa di nuovo, che mi dà tanto.
In questo libro c’è un elemento insolito: l’ambientazione internazionale, in Romania. Come mai hai scelto di trattare il tema della caduta del Muro di Berlino e come mai hai scelto questo Paese?
Sono partito dal desiderio di vedere Sara sul campo. È il quarto romanzo, nonché la quinta avventura che ha Sara per protagonista (il primo racconto è apparso in “Sbirre”), ma prima d’ora ha sempre agito in maniera “lontana”, non l’abbiamo mai vista sul campo. La condizione di Massimiliano, il nipote, mi permetteva sia di dare seguito alla conclusione dell’ultimo romanzo (“Una lettera per Sara”, ndr) sia di vederla agire sul campo. Avevo quindi a quel punto bisogno di un personaggio utile su due fronti: che avesse la possibilità di intervenire sulla vita del bambino e che fosse presente nel passato di Sara. Così, facendo due conti, mi sono reso conto che Sara è entrata nell’unità alla fine dell’89. Volendo legare le situazioni agli avvenimenti storici, ho pensato alla caduta del Muro. Da qui, mi sono ritrovato a ricostruire la riorganizzazione europea dei servizi segreti che ne è susseguita, ho notato quindi che la Romania era un ottimo elemento per la situazione che stavo costruendo.
Nelle vicende di Sara, il presente trova soluzione nel passato. È una coincidenza che notiamo in questo ultimo capitolo, o è un filo logico che troviamo e troveremo in tutta la saga?
Ho pensato al “Buttefly effect”, ovvero quella rappresentazione fisico-poetica con la quale, se una farfalla batte le ali, dall’altra parte del mondo c’è un uragano. Questo per immaginare una sorta di concatenazione degli eventi. Se si considera quest’effetto solo dal punto di vista temporale e non dello spazio, comporta ancora maggiori effetti. Sara nasce come personaggio che guarda nel passato, perché è in pensione dopo esser stata 30 anni in servizio, condizione che la porta a vivere nel passato, appunto. Prima di diventare nonna era una donna con un presente piatto, ma con un passato estremamente effervescente. Con il nipote piccolo, contrae un obbligo nei confronti del mondo, ovvero è portata a fare qualcosa che lo migliori. Il concetto di fondo di questo romanzo è: affondare le radici nel passato con uno sguardo al futuro, per vivere il presente.
C’è sempre stata per te l’idea di una saga come questa, che esplorasse un personaggio nella sua totalità?
Per me le serie non nascono mai con un’idea preconcetta. La serie si evolve con i lettori, sotto i riflettori. Non si decide mai a tavolino, sarebbe davvero difficile. Scrivere diversi capitoli, crea sicuramente una situazione accogliente, perché dà modo di approfondire e conoscere meglio i personaggi: ogni capitolo scopri dettagli e caratteristiche nuove di ognuno. Io scrivo senza una direzione prefissata, che mi possa precludere qualcosa. Non avrei mai potuto, per esempio, scrivere questo libro come secondo, o terzo. Prima di tutto perché l’ambiente e il mondo che li circonda si evolve con loro e li arricchisce, e poi perché per ogni storia c’è un momento adeguato. Il fatto di avere la fortuna di avere tante serie mi consente di esplorare in continuazione, come se vivessi in un grande condominio e avessi le chiavi di ogni appartamento, potendo curiosare in ognuno.
Qual è l’input che ti ha spinto a scrivere il primo romanzo della serie? E quale quello che ti ha spinto a parlare di linguaggio non verbale?
Sara è l’unico mio personaggio che nasce da un incontro reale. Ho incontrato Sara fisicamente, qualche anno fa. Dovevo scrivere ai tempi un racconto per “Sbirre” e stavo pensando ad un personaggio convenzionale, quale potrebbe essere un giornalista. Una sera, però, tornando a casa da teatro in motorino – era l’1 di notte circa e piovigginava – mi sono trovato a passare vicino ad un’automobile parcheggiata nei pressi di casa mia. Alla guida vi era una signora con i capelli bianchi. Pensando istintivamente che avesse bisogno di aiuto, ho rallentato e ho illuminato con il faro la sua macchina. A quel punto, ho notato che la signora aveva un viso che non concordava con i capelli: era giovanile, curato, di bella presenza, in assoluto disaccordo con i capelli bianchi e spettinati che portava. Lei mi guarda e mi fa un cenno, come per dirmi che non aveva bisogno di aiuto. Io rimasi stupito, perché a quell’ora, di notte, non avendole nemmeno rivolto parola, mi è sembrato strano che non avesse dubitato di me – un uomo con il casco, che si avvicina all’auto. Una volta a casa, sono salito per prendere la spazzatura: una volta riuscito, la signora non c’era più.
A quel punto mi sono sorte moltissime domande e, insieme, moltissime risposte, a sufficienza per creare una storia.
Come riesci a mantenere la padronanza per gestire diversi piani temporali e diverse scene e ambientazioni?
Credo di avere il grande vantaggio di riuscire a scrivere in poco tempo. Ovvero scrivo per assoluta immersione, ho quindi una totale impegno solo su quello che sto scrivendo, come se mi recassi fisicamente nel luogo di cui sto scrivendo. Mi risulta quindi quasi impossibile scrivere cose che si contraddicono tra di loro. Mi ricordo tutto molto vividamente, perché l’ho scritto poco prima.
Scrivi di personaggi accomunati dal tema della perdita. Perché per te è fondamentale inserire questo tema per lo sviluppo delle tue storie?
Sono arrivato alla conclusione che la perdita, per chi l’ha subita, cambia e non si può superare. Se si tratta di una persona molto vicina a te e che fa parte della tua vita, la perdita ti cambia. Prima ci convivi, meglio stai. Se non la accetti e ci combatti contro, cercando di non pensarci o di dimenticarti, rischi di incappare in grandi problemi. Volendo essere realistico con i miei personaggi, io mantengo sempre questa presenza. Con Sara, infatti, inserisco il compagno, Massimiliano, attraverso ripetuti interventi in corsivo: lui le parla, la consiglia. È una presenza per lei costante.
Come mai una persona tanto positiva e solare, scrive di storie così tormentate e tristi? Come fai a relazionarti con personaggi così distanti da te?
Effettivamente ho un carattere piuttosto distante dai miei personaggi. Come le mamme, però, vogliono bene ai propri figli, li conoscono, sanno entrare in sintonia con le loro emozioni, connessioni, relazioni e possono raccontarli perfettamente, nello stesso modo un autore, se entra in profondo rapporto affettivo anche con i personaggi più negativi, è in grado poi di raccontarli. Il segreto, quindi, è entrare in tenera corrispondenza con i personaggi.
Se uno parte dal presupposto di non cadere nell’auto-fiction, e quindi di non raccontare se stesso, finisce per essere in grado di raccontare i personaggi: più sono distanti e più sei in grado di farlo.
** in ordine cronologico, la saga di Sara è composta da: “Sara al tramonto” (2018); “Le parole di Sara” (2019); “Una lettera per Sara” (2020); “Gli occhi di Sara” (2021), tutti editi da Rizzoli.