È uscito per Mondadori in questi giorni l ‘ultimo libro di Luca Bianchini, “Le mogli hanno sempre ragione”. Lo scrittore e conduttore radiofonico torinese ritorna nell’amata Polignano, ma per la prima volta si cimenta con il giallo, non rinunciando alla consueta vena ironica: un mix sicuramente interessante per i suoi affezionati lettori. Lo abbiamo incontrato online insieme ad altri blogger per conoscere qualcosa di più sul nuovo romanzo e la sua scrittura.
Nel suo nuovo romanzo ha unito le consuete tinte rosa al giallo con tanto di delitto e indagini. Come le è venuto in mente?
E’ stata una necessità molto semplice dovuta alla pandemia. Ero chiuso in casa, avevo voglia di scrivere, ma la realtà attorno a me era deprimente. Di solito faccio fatica a lavorare su un testo quando ho grossi personali o familiari. La prima cosa che ho pensato è stata di usare l‘ironia, ma non riuscivo a partire. Sono molto fisico nello scrivere, ascolto il mio corpo e c’era qualcosa di strano che non mi convinceva. Ragionavo su una storia, volevo provare a raccontare il panico che accadeva a quei tempi quando ti capitava di starnutire in mezzo alla gente. Poi però mi è venuta un’idea completamente nuova: fare un salto di genere. La prima opzione è stata il romanzo storico, per il quale però avrei dovuto davvero documentarmi molto, oppure il giallo. Ed è nata una sfida con me stesso dato che non avevo mai approcciato davvero il genere. Mi sono detto ”tutti si inventano un commissario e campano vent’anni”, così ho trovato su Google un saggio di cinque pagine su come si scrive un giallo , nel quale si diceva chiaramente di non iniziare neanche se non si sapevano vittima, colpevole e movente. A quel punto ho scelto il mondo dei Polignanesi, che conoscevo molto bene, e dovevo decidere chi di loro sacrificare. La scelta è caduta sulla domestica peruviana: un po’ fuori contesto, l’ultima arrivata del gruppo. Ho poi chiamato un amico carabiniere per informarmi sugli aspetti tecnici di delitti e indagini che mi servivano. Amando la commedia ho comunque cercato, per quello che potevo di usare i miei toni, tanto chi legge un giallo sa che è non è vero … Così l’arma del delitto è l’angioletto della Thun!
Ci sono comunque dei gialli a cui si è ispirato in particolare?
Ho letto un Camilleri tanti anni fa, mi piaceva la sua storia bellissima: un autore che scopre la scrittura tardi e scrive mille cose. In generale però non mi è mai interessato come genere e non guardo la televisione, se non quando sono in hotel. Faccio fatica anche a seguire le serie. Una volta però ho visto una puntata del Commissario Montalbano proprio per cercare di capire il suo successo e sono rimasto spiazzato, non riuscivo a coglierne la forza. Ho avuto l’idea malaugurata di scrivere le mie perplessità su Facebook con una semplice frase: “Ma veramente vi piace?” Sono stato aggredito con i peggiori insulti. Ho letto poi qualcosa di Simenon e di Agatha Christie prima di scrivere questo libro, quindi i più classici, perché quando mi impegno per un obiettivo cerco di prepararmi al meglio, sono un po’ un secchione…. Quando ho letto “Assassinio sull’Orient Express” ho compreso le ragioni della fama di questo testo e della sua autrice, un vero genio! Così ho voluto utilizzare un impianto come il suo: omicidio, indagini e spiegazione finale. Ho scoperto poi che i carabinieri quando interrogano fanno dapprima domande sulla vita privata dei sospettati perché così li predispongono a dire la verità: in quelle pagine ho potuto utilizzare i miei toni da commedia e le caratteristiche dei miei personaggi come desideravo!
Qual è la ricetta per un giallo di successo? Nel suo libro sembra tutto così “giusto”!
Innanzitutto ho lavorato più del solito su questo libro, perché avevo tempo, poi credo che mi abbia aiutato molto anche il fatto di amare la matematica. Due cose mi hanno rassicurato: aver messo subito colpevole, movente e le pedine corrette per costruire il mistero. E’ un lavoro di grande logica, per il quale mi sono sentito portato e questo lo ha riconosciuto anche il mio amico carabiniere! Mi dà molta soddisfazione perché i lettori mi confermano che non riescono a indovinare l’assassino.
Che cosa pensa di aver dato alla Puglia in questi anni, ambientando lì i suoi romanzi?
Alla Puglia ho dato un amore affettuoso e una dote che non pensavano di avere, l’autoironia. Poi all’inizio mi dicevano mi ringraziavano perché parlavo della loro terra, non erano consapevoli di quel bellissimo posto e soprattutto dell’interno, della campagna. Quindi credi di aver contribuito anche a una certa visibilità e autostima per gli abitanti di questa meravigliosa regione. Adesso spero che non si montino troppo la testa!
Che rapporto ha con i luoghi comuni, che spesso inserisce all’interno dei suoi libri?
Amo i luoghi comuni: mi piacciono e mi piace metterli in discussione. La vita si basa su di essi: ad esempio se esco a cena con qualcuno che non beve vino penso abbia problemi (ride). Parlo molto con i camerieri d’albergo: sono delle grandi fonti di luoghi comuni, ma anche di verità. Lo stesso titolo del libro è un gioco su questo tema.
Come affronta le critiche Luca Bianchini e come vive l’uscita dei suoi romanzi?
Non sono mai tranquillo, non per me ma perché se qualcosa va storto mi dispiace per tutte le persone che ci lavorano. Mi so valutare, ma quando esce un libro finisco per essere insicuro e all’inizio ho bisogno di conforto, non cerco cosa che mi fanno stare male. Le critiche comunque ben vengano. Con la scrittura ho un rapporto particolare: so che faccio un lavoro di intrattenimento e non mi sento una persona migliore in senso etico. Su di me c’è una sorta di pregiudizio, perché non vengo considerato un autore letterario. Scrivo commedie, ho una vita vicina al pop, patisco un po’ questo, pur avendo amici letterati che mi stimano. Di solito ricevo più il silenzio che la critica, forse per stroncarmi dovrei essere più famoso, come Fabio Volo (ride). Mi piace provare a capire cosa non piace in un libro e in questo caso non volevo che i lettori pensassero che il ritorno a Polignano fosse un escamotage per il successo che avevano avuto i romanzi precedenti. Come scrittori siamo spesso frustrati, invidiosi, gufiamo … perché non facciamo un po’ più squadra? Alla fine ne beneficeremmo tutti.
Che tipo di lettore è?
Una delle cose più importanti della vita per me è studiare, perché quello che studi resta a lungo dentro di te. Ho studiato poesia, amo Montale in particolare. Nella narrativa apprezzo i libri drammatici, ma anche divertenti o epici. Leggo Houellebecq e Dave Eggers e adesso voglio leggere Patria di Aramburu, perché so che sarà un libro stupendo, me ne hanno parlato tanto. Poi mi è piaciuto Shantaram e tutti i romanzi di Xavier Marìas. Tra i classici, quelli più “laterali” come La vita e le opinioni di Tristram Shandy gentiluomo, tradotto da Aldo Busi. Ci sono poi letture che faccio per amicizia, perché devo presentare dei libri e sono contento di fare scoperte in questo modo.
Per finire, una curiosità: la passione per il karaoke del commissario Clemente da dove deriva?
L’ho visto scritto nel profilo Instagram di Belen Rodriguez, che è stata una mia fan ai tempi di “Io che amo solo te”, quando social e influencer erano più spontanei. Il karaoke mi piace perché è datato, ma non invecchia mai. Con l’inserimento di questa passione del mio protagonista ho anche una carta in più da giocare durante le presentazioni: mi faccio accompagnare da cantanti! L’attacco del libro, oltretutto è ispirato ad “Amico” di Renato Zero. …