
Pagine: 170
Prezzo: 16,90
Incontriamo Leandro Del Gaudio, giornalista di cronaca giudiziaria del «Mattino» di Napoli, per parlare di Cattivo infinito, il suo primo romanzo (pubblicato da David and Matthaus a novembre 2015, con una seconda edizione di prossima uscita), che narra la vera storia di Fabrizio (nome di fantasia necessario a tutelare la sua reale identità), un ex killer del clan Mariano, attivo negli anni ’80 e protagonista di una vicenda davvero singolare.
Cattivo infinito offre uno spaccato verace di 30 anni di camorra attraverso la storia esemplare di Fabrizio, ex killer del clan Mariano, raccontata in soggettiva dal protagonista e dai vari personaggi che incrociano il suo cammino. Un romanzo decostruito che si regge, più che sulla finzione dell’oralità, su quella della presenza del lettore, che immaginiamo seduto di fronte ai personaggi che narrano. Il lettore è un protagonista invisibile del libro. Questa scelta narrativa a quali motivazioni risponde e quali obiettivi persegue?
È una scelta istintiva, dettata da un’esigenza: la presa diretta. Non volevo annoiare il lettore, ma costringerlo a entrare nell’atmosfera di una parte di Napoli che ho vissuto negli ultimi decenni. A Napoli ho studiato e mi sono formato, faccio il cronista di giudiziaria, ma – al di là dei tecnicismi – mi interessa il vissuto delle persone, le storie di vita e il modo in cui vengono raccontate. Spesso il bar del Palazzo di Giustizia diventa un luogo privilegiato per raccogliere informazioni di prima mano (che, ovviamente, vanno verificate) e, quando ho deciso di scrivere un romanzo, ho seguito l’istinto.
Fabrizio è condannato a 25 anni di carcere per omicidio. Viene trasferito in vari istituti penitenziari fino ad approdare a Volterra, isola felice. Da lì però è costretto a evadere, perché raggiunto da chi ancora lo vuole morto. In Francia si ricostruisce una vita onesta, per arrivare a scoprire, 25 anni dopo l’omicidio, che può tornare nella sua Napoli, dove però lo aspettano ancora in tanti, ma non più la giustizia italiana. La storia di Fabrizio attraversa, dunque, alcuni drammi del nostro paese, la malagiustizia e l’inqualificabile situazione carceraria su tutti. Rispetto a questi temi Cattivo infinito cosa racconta e cosa suggerisce?
Cattivo infinito non è un testo di sociologia, ma contiene una denuncia interna delle condizioni in cui vive la popolazione carceraria in Italia. La storia di Fabrizio (che prende spunto da una storia vera, di un ex affiliato processato per un tentato omicidio in piazza Trieste e Trento diversi anni fa) è emblematica: quando il protagonista entra in un carcere dove si cerca di seguire il dettato costituzionale, a proposito di riabilitazione della pena, la sua storia ha una svolta. In sintesi: il protagonista di questa storia ha finalmente la possibilità di conoscere lo studio, di appassionarsi alla letteratura, di leggere un testo di poesia, di raccontarsi provando a scrivere un tema in classe. È ciò che manca alla maggior parte dei detenuti italiani, che dovrebbero vivere in carcere un percorso di emancipazione che invece non viene garantito. Tutte le volte che ho avuto modo di parlare con il protagonista di questa storia, ho sempre notato una tensione, uno sforzo verso il miglioramento che è nato proprio a Volterra. La grande bellezza inizia con un libro, con una possibilità di riscatto che manca in tante esperienze di detenzione, ovviamente non per colpa dei detenuti.
L’intensa e partecipata prefazione di Roberto Saviano offre molti spunti si riflessione sul suo Cattivo infinito. Partirei dalla sua definizione di “romanzo di non fiction” che mi pare caratterizzante: “un libro scritto con il metodo del cronista giudiziario e il fine del narratore per restituire anima ai suoi personaggi”. Il tema che pone Saviano è dunque quello della necessità di ricorrere alla letteratura per raccontare la verità dei fatti in un modo più efficace, in grado di creare condivisione e partecipazione. Non sorprende che lo dica uno scrittore. Ma che ne pensa un giornalista?
Condivido in pieno il ragionamento di Saviano, che affronta un punto cruciale del romanzo: il rapporto tra verità storica e narrazione, tra cronaca e romanzo. Credo che l’obiettivo di chiunque scriva sia quello di far emergere la vita vissuta, al di là del genere con cui si sceglie di raccontare un fatto. Quando iniziai a lavorare a Cattivo infinito, ho ragionato da cronista; poi mi sono reso conto che il ricorso alle fonti tradizionali (atti giudiziari, contatto con pg e pm) non poteva arricchire il quadro che intendevo tracciare. Credo che, oltre alla verità storica, debba entrare in gioco la verosimiglianza, che è in grado di rafforzare una trama, quando si ha intenzione di ricostruire una vicenda storica senza allontanarsi dal vissuto. Il romanzo è una sorta di legal thriller, con un finale a sorpresa, in cui suggerisco un possibile epilogo della storia: credo che a garantire il ritorno a Napoli di Fabrizio siano stati alcuni fattori, ma non ne ho la certezza, quindi credo che sia verosimile che certe cose siano andate in un certo modo. Cattivo infinito non è una finzione, dunque, non ci siamo inventati nulla, ma abbiamo provato a raccontare – seguendo fatti e interpretazioni – una trama che ha un forte radicamento nella vita vissuta.
Già il titolo dimostra quanto siano importanti i criteri tipicamente letterari per giudicare questo libro. Esso, infatti, mi pare che metta subito il lettore di fronte al rapporto tra la volontà del singolo e le dinamiche di ciò che lo circonda, finanche le più universali: può essere infinita la cattiveria dei singoli così come cattiva la natura di una società, o dell’esistenza tutta, che si perpetua all’infinito (rimandando quasi a un concetto greco di destino, inevitabilmente nefasto per l’uomo). Il rapporto tra volontà e destino è il tema profondo del romanzo?
Cattiva infinita è la cronaca di Napoli, che mi ha evidentemente suggestionato rispetto alla scelta di un titolo. Ma non c’è pessimismo nel testo. Anzi, tutta l’opera è attraversata dall’esigenza del suo protagonista di crescere e migliorare, di superare quella sorta di edonismo autolesionista che lo aveva indotto a entrare in un clan, lasciandosi sedurre da personaggi carismatici ma votati al male. C’è speranza di riscatto nella lettura di una poesia o nella messa in scena di un testo teatrale – avveniva a Volterra da detenuto – che dà ritmo al testo dalla prima all’ultima pagina.
Nel corso delle pagine lei non cede mai al sensazionalismo fine a se stesso e a certa morbosità per il sangue e il macabro. Questa scelta di sobrietà, di affidarsi unicamente all’evocatività soprattutto di quello che le parole non dicono esplicitamente, da cosa è motivata?
Esigenza da cronista, nulla di più. Quotidianamente scrivo di cronaca nera e sono consapevole che Napoli non ha bisogno di spettacolarizzazione. Nelle prime pagine del testo, mi interessava assumere il punto di vista di un killer o di un aspirante tale: cosa pensa, cosa fa uno che aspetta per giorni è in attesa della soffiata per uccidere un rivale? La psicologia più del sangue, specie se ti trovi di fronte a un soggetto che non assume cocaina e che è lucido dal primo all’ultimo minuto.
Il finale aperto, che non le chiedo di svelare, risponde, certo, a una logica narrativa. Le chiedo però se, almeno implicitamente, non riveli un’intenzione ulteriore, cioè se lei abbia anche voluto, tramite esso, predisporre il lettore a una speranza possibile, nonostante il titolo.
Sono sempre stato affascinato dalla soluzione del finale aperto, che credo sia la più corrispondente alla vita di tutti i giorni. Non amo la rincorsa al lieto fine né altre forzature in senso opposto. Credo che questo finale – decisamente a sorpresa – sia un buon espediente per salvare esigenze narrative e rispetto per la vita di un ragazzo realmente esistente.
Come e quanto è cambiata Napoli negli ultimi 30 anni? Il titolo allude a una sostanziale continuità, peraltro sottolineata anche da Saviano. Se e come si sono evolute la camorra e la lotta a essa? Se e come è cambiato il rapporto con la società civile? La sfida di Napoli è centrale per un rilancio della credibilità dell’intero paese?
La lotta alla camorra non è mai entrata seriamente nelle agende politiche dei governi nazionali, perché nessuno sa sostituire il welfare criminale con indotti economici puliti. Mi spiego meglio: oggi lo Stato è potenzialmente in grado di arrestare tutti i narcotrafficanti ed estorsori di Napoli, ma poi cosa accade? Le carceri scoppiano, i tribunali sono al collasso e almeno 150mila o 200mila persone non saprebbero come vivere e rappresenterebbero un problema per le autorità. Quindi? Grande sforzo della polizia giudiziaria e dei pm, che punta – più o meno implicitamente – a “ciaccare e medicare”, a colpire i clan senza però destabilizzare. Anche questo atteggiamento può essere definito cattivo e infinito.
Lei è laureato in filosofia, stimato cronista di giudiziaria, in questo esordio ha dato prova di innegabili doti narrative, conduce programmi televisivi e radiofonici. Chi è il giornalista oggi? Chi deve e chi vuole essere? Si va verso una rivalutazione di una preparazione più latamente umanistica a discapito delle specializzazioni, o è solo un abbaglio?
Il giornalista è mass media, un mediatore e un divulgatore e deve difendere questo ruolo ora più che mai che il copia incolla è una tentazione sempre più pressante. Proprio nell’epoca dell’on line, dove tutto è a disposizione di tutti, bisogna far valere le proprie doti di interprete critico della realtà, facendo leva su una sensibilità vigile e disponibile al dialogo. Lo diceva Popper anni fa a proposito della tv, ora più che mai il rispetto per la propria funzione di comunicatore (mediatore tra un fatto e l’opinione pubblica) è un imperativo categorico.
Quali sono i prossimi appuntamenti per Cattivo infinito? È già al lavoro su qualche nuovo progetto?
Voglio promuovere bene il romanzo, poi credo di tornare al testo di inchiesta. Anni fa rimasi molto sconcertato da una storia di cronaca giudiziaria che seguii in prima persona. Vorrei ricavarne una trama, una narrazione di non fiction (per dirla alla Saviano) che consenta di spiegare a me e agli altri cose che al momento non posso verificare con le fonti classiche.