A tu per tu… con Francesco Maria Provenzano

Francesco Maria Provenzano è un giornalista parlamentare che lavora presso il Senato della Repubblica e collabora con il giornale on line www.altroquotidiano.it per cui tiene la rubrica Transatlantico. Architetto, oltre che professionista della comunicazione, è curioso, attento, affabile: a vederlo richiama alla mente un oratore dell’antica Grecia con i capelli un po’ scapigliati e la parola forte, sentita, che talvolta pare precedere i suoi stessi pensieri.

L’abbiamo incontrato presso il Consiglio Regionale della Lombardia dove, ospite del presidente della Commissione “Sanità e Politiche Sociali” Fabio Rizzi, ha presentato, intervistato da Cesare Gariboldi, il suo ultimo libro sul Papa: Francesco, il Papa della povertà e del cambiamento.

Spettatore privilegiato dei giorni del Conclave, colto e avido lettore, Provenzano ci è sembrata la persona giusta con cui scambiare due chiacchiere su Jorge Bergoglio, il nuovo Papa che già manifesta un’incredibile potenza narrativa: basti pensare a tutte le pubblicazioni che a soli pochi mesi dalla sua elezione stanno riempiendo gli scaffali delle nostre amate librerie. E inoltre perché non approfittare dell’incontro con un giornalista per avere qualche interessante spunto di riflessione sul mondo dell’informazione e dell’editoria? 

I giornalisti per vocazione e professione raccontano i fatti al netto del loro mondo emotivo. Ho letto la sua ultima pubblicazione  su Papa Francesco e la prima cosa che ho notato è che lei parte da una forte emozione. Lei stesso  dice di essersi sentito quasi ispirato. E’ stata una scelta voluta quella di non scindere, almeno in questa occasione, l’uomo e il giornalista? 

Sì, è vero, ho vissuto una sensazione emotiva intensa ed unica che è nata dalla semplicità e dalla limpidezza dei gesti spontanei di questo Papa che ci ha trasmesso, appena si è presentato al mondo,  il  messaggio di un vero pastore. Questo ha coinvolto non solo me, ma avvicina tutti quotidianamente. Tornando a casa, dopo l’elezione,  ho  trascorso una notte in bianco perché sono stato letteralmente colpito da quest’uomo umile, riservato, carismatico. Le riflessioni che si sono accavallate nella mia mente a  getto continuo non erano quelle di un giornalista che tenta di trasformare in cronaca l’ incredibile pezzo di storia a cui ha avuto il privilegio di assistere, ma quelle di un uomo profondamente credente che nel discorso di Papa Francesco ha trovato, ancora una volta, il senso più alto della propria fede. E questo va oltre la cronaca, ma trascende anche la storia. 

Provenzano, lei è un giornalista parlamentare abituato a raccontare la politica di Palazzo. Ultimamente, sempre nelle vesti di giornalista, ha potuto seguire da un punto di vista privilegiato le vicende del Conclave che hanno portato all’elezione al soglio Pontificio di Jorge Bergoglio. Qual è, secondo lei, a prescindere dall’intervento dello Spirito Santo, la dimensione “politica” della scelta di un uomo come Bergoglio a capo della Chiesa cattolica? 

Io credo che l’elezione di Bergoglio abbia  sfondato  una barriera nella Chiesa del continente latino americano, dove esiste un evidente pregiudizio nei confronti dei cattolici di questo popolo. Secondo me tutto ciò ha un chiaro significato  politico, oltre che religioso, e non potranno che derivarne  delle conseguenze positive per l’apertura della Chiesa nel mondo. 

Wojtyla era il grande comunicatore, Ratzinger il raffinato teologo. E Bergoglio come lo definirebbe? 

In due parole: il misericordioso e il tenero. 

Lei riflette molto anche sulla dimensione spirituale di Jorge Bergoglio e in questo va un po’ controcorrente, dato che al momento attuale buona parte del mondo mediatico tende ad enfatizzarne soprattutto quello che io chiamo l’aspetto ”equo-solidale”.  Qual è secondo lei il messaggio spirituale più autentico che emerge dai primi discorsi ed omelie di Papa Francesco ? 

Io credo in quell’atto di fede scritto da Bergoglio che riportano nel loro libro su Papa Francesco i giornalisti Rubin e Ambrogetti e che anch’io mi sono permesso di riprendere. E’ unico, straordinario…  Me ne faccia leggere un pezzettino: Credo nel mio dolore, infecondo per colpa dell’egoismo, in cui mi rifugio… Credo nella pazienza di Dio, accogliente, dolce come una notte estiva… Credo che papà sia in cielo accanto al Signore…   E attendo la sorpresa di ogni giorno in cui si manifesterà l’amore, la forza, il tradimento e il peccato…”. Qui c’è tutto. Dovendo riassumere direi che le tre parole chiave del suo Pontificato che ne esprimono tutta la spiritualità sono:  misericordia, tenerezza e povertà. 

A livello giornalistico credo faccia più gioco mettere in rilievo le differenze tra Ratzinger e Bergoglio, quasi nel tentativo di farli apparire come antitesi l’uno dell’altro. Lei vuol provare a fare il gioco contrario e a segnalarmi le similitudini, i punti in comune, se ci sono? 

Ratzinger, secondo me, sarà il più grande teologo che la Chiesa ricorderà. Ma anche Bergoglio è un teologo e questo rappresenta, a mio avviso,  un importante punto di contatto fra i due. Però Papa Francesco oltre ad essere un teologo è anche un passionale: le sue origini italiane si avvertono chiaramente nella gestualità e nella parola facile. Ratzinger, invece, è rimasto prigioniero della sua rigidità tedesca e questo ha impedito al suo profondissimo messaggio teologico di trovare un approdo sicuro nei cuori dei credenti. C’è un altro punto in comune, però, tra i due Papi che ritengo fondamentale: l’umiltà. Non dimentichiamo che il gesto delle dimissioni di Ratzinger è stato unico e specchio di un’umiltà, forse, senza precedenti. Bergoglio ha iniziato in maniera altrettanto umile il suo Pontificato, lasciandoci a bocca aperta. Insomma uno ha cominciato dove l’altro ha finito, come se si fossero idealmente passati una staffetta. 

Papa Francesco ha un tallone d’Achille secondo lei? Se sì, quale? 

Credo che il tallone d’Achille di Papa Francesco sia il fatto che, benché il suo Pontificato, come detto prima,  abbia anche una dimensione “politica”,  lui in realtà non sia un politico. Al contrario di Papa Wojtyla che ha girato il mondo per portare la parola del cristianesimo, ma soprattutto per preparare la via che avrebbe condotto  al crollo del muro di Berlino e del  comunismo, Papa Bergoglio è uno che la politica la mette da parte, ma non solo; dà anche un segnale alla politica e lo fa, talvolta, senza nemmeno rendersene conto: la povertà è la capacità di spogliarsi delle cose che sono superflue. E questo messaggio  riguarda anche i politici, soprattutto i nostri! Questo suo modo di fare comporta inevitabilmente dei rischi, perché sappiamo tutti che c’è una parte della Curia che è politicizzata e che non vede di buon occhio Bergoglio. 

Cosa consiglia ai nostri lettori, soprattutto i più giovani, affascinati dal mondo del giornalismo e desiderosi di fare la sua professione? Quali le difficoltà, le sfide, ma anche le soddisfazioni a cui possono andare incontro nel mondo post-moderno sempre meno cartaceo e sempre più virtuale? 

Il mio è un lavoro bellissimo e lo faccio da quarant’anni. Purtroppo, però, devo constatare che oggi come oggi è una professione che, per come la intendo io, è finita. Io sono un fan del cartaceo e sono stato abituato con le mitiche macchine da scrivere come la lettera 22 e la lettera 32. Inoltre  ho fatto il cronista andando sul posto, verificando  notizie e fonti, “marcando stretto”: ritrovarmi adesso davanti ad un giornalismo che è diventato un lavoro essenzialmente tecnologico, mi lascia una certa amarezza. E se prima ti sentivi un combattente in trincea, ora sei comodamente seduto dietro una scrivania. Dicendo questo non voglio, ovviamente, scoraggiare nessuno. Il web apre tante porte, consente di sperimentare, di creare nuovi format e nuovi modi di convogliare le notizie e coinvolgere le persone.  Puoi fare molti approfondimenti e risparmiare tempo. Penso, però, che se un giovane vuole diventare un “vero” giornalista, avere qualcosa in più degli altri, in un mondo intasato come quello virtuale, non debba mai dimenticarsi che nulla può sostituire l’esperienza reale delle cose, dei fatti, delle persone. Insomma quella che era la  logica della carta stampata deve restare un faro anche quando si lavora nella rete e questo può fare la differenza tra un giornalismo buono e uno cattivo. 

Noi de Gli Amanti dei Libri ci occupiamo di libri, autori e del mondo dell’editoria a 360°. Ha un consiglio da darci o un augurio da farci? 

Fate un lavoro pregevole. Il mio consiglio è quello di continuare a promuovere incontri, concorsi, occasioni di formazione e, soprattutto, di dare sempre più spazio ai giovani che si accingono a scrivere dei libri. E’ vero non sempre abbiamo fenomeni come Dan Brown o Ken Follet, ma le assicuro che ci sono giovani preparati e di talento che, però, non sanno dove andare a sbattere la testa nel mondo dell’editoria. E spesso sono costretti, per vedersi pubblicati, a rivolgersi a case editrici che li obbligano ad acquistare  un sacco di copie dei propri libri: questa, secondo me, non è una libertà, ma è un condizionamento che va abolito! La lotta che voi fate contro l’editoria a pagamento è eticamente vincente. E credo che dare spazio nelle vostre recensioni anche ad autori di case editrici indipendenti e piccole sia un modo per mantenere viva la speranza!

Elena Cartotto

Curiosa e ironica mi piace andare fuori dai sentieri battuti, nei libri come nella vita. Se dovessi scegliere un titolo per raccontare la mia storia sarebbe sicuramente “Un indovino mi disse” di Tiziano Terzani. Il mio eroe letterario è Sherlock Holmes, l’autore con cui andrei a cena Oscar Wilde e i miei miti storici Gesù di Nazareth e Socrate. Sono un’idealista che ancora si scalda su alcuni temi sociali come dignità umana, libertà, lavoro e giustizia. Le mie passioni sono l’astrologia, la psicologia, il paranormale, la spiritualità e la musica che ci salva da noi stessi, ogni giorno. Per dirla con Vecchioni: “Ho combattuto il cuore dei mulini a vento, insieme ad un vecchio pazzo che si crede me….”.

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