A tu per tu con… Enrico Brizzi

Il nuovo romanzo di Enrico Brizzi, “Tu che sei di me la miglior parte (Mondadori),  è un’immersione nei nostri anni  Novanta venticinque anni dopo il mitico successo di “Jack Frusciante è uscito dal gruppo” , libro culto di una generazione. Ne abbiamo parlato con l’autore insieme ad altri blogger e si è subito entrati nell’argomento del suo esordio narrativo, uno dei più eclatanti e sorprendenti del panorama letterario italiano.

Nel 94 “Jack Frusciante” è uscito per Transeuropa, una piccola casa editrice indipendente di Ancona. Era un ambiente molto fertile: io andavo ancora a scuola a quel tempo ed era stimolante trovare gente molto più grande di me che mi dava retta, che ascoltava quello che dicevo e mi dava dei consigli negli anni in cui uno gli unici testi che normalmente si mettono insieme sono i temi per il professore e i giudizi sono i voti. Questo ambiente della narrativa mi ricordava quello delle salette prova in cui si suonava: un contesto costruttivo. La scoperta della narrativa per me è stata innanzitutto quella di un ambiente nel quale è bello stare a prescindere dal fatto che eravamo insieme in una stanza tra chi aveva pubblicato e chi no. Nei primissimi tempi avevo ambizioni praticamente nulle: il libro era pubblicato e venduto tra Bologna e Ancona, duecento copie in tutto. Speravo che la pila di libri esposti alla Feltrinelli di Bologna calasse altrimenti ero sicuro che i nemici del liceo avrebbero riso di me. Nel giro di un anno poi mi sono ritrovato al Virgin Megastore di Parigi a presentare l’edizione francese del mio romanzo, tra il piacere e la paura di essere praticamente una star. Se hai consapevolezza ti rendi conto che è molto pericoloso.

Cosa è accaduto dopo?

Ci sono persone, alcune in buona fede, altre per interesse che ti chiedono di riscrivere lo stesso libro più volte. Da una parte ti godi il successo, dall’altra ben presto inevitabilmente arriva il problema: sei a un bivio tra diventare una celebrità e diventare un narratore e per me è stato importante scrivere subito qualcosa di diverso e seguire i passi degli scrittori che mi piacevano. Pier Vittorio Tondelli ha pubblicato dapprima una raccolta di racconti dedicati a punk di provincia e poi un romanzo sulla Naja, che non aveva nulla a che fare con il precedente.  Mi sono ispirato a lui perché sono convinto che i modelli ti spiegano cosa devi avere anche quando dal vivo intorno hai solo cattivi consigli. Mi sono sempre detto: “vorrei fare cose di cui andare fiero, al di là dell’apprezzamento collettivo.  Comunque tutto questo crea delle situazioni umane che non lasciano indifferenti, dato che sei giovane e non sei un monaco Zen: ti colpisce che una ragazza ti noti, che un amico ti parli dietro, che incontri gente che legge il tuo libro. In poche parole la vita cambia, ovviamente. Mi hanno chiesto molte volte se è stato pesante avere un esordio così: direi che dopo un po’ capisci che il gioco è quello e che la tua carriera di narratore non deve avere ricadute sulla tua vita personale. Per quanto mi riguarda ci sono cose che vale la pena fare con il mio stile e cose che mi ripugnano e non farei mai.

Come vivono le tue figlie il tuo lavoro?

Le mie figlie hanno scoperto i miei libri attraverso i compagni di scuola e le insegnanti. Io ho sempre pensato che ci dovessero arrivare da sole se volevano. Sarebbe stato bruttissimo obbligarle: se ami queste cose sai che l’amore è volontario. Recentemente è successo con la più grande, Chloe: era la vigilia dell’inizio della scuola e mi ha mandato un messaggio su whatsapp “Ho letto Jack Frusciante e non riesco a smettere di piangere!” Mi sono commosso anch’io: è bello che le cose succedano così, a sorpresa.

Hai parlato molto di emozioni sulla tau pagina fb

L’emozione è forte in generale quando pubblichi un nuovo lavoro perché ci hai dedicato del tempo e si presume che ami quei personaggi: ti hanno fatto compagnia per mesi, magari per anni poi partono e vanno via per il mondo da soli. In questo caso l’emozione è doppia perché è la prima volta che torno in certi posti. Sto facendo il tour di presentazione e sono trascorsi 24 anni dalla prima volta: raccontare perché scrivo e che cosa scrivo è toccante e credo che il motivo vero per cui ho scritto questa storia è che la vita ha fatto un giro completo. Vedo adesso le mie figlie che cominciano ad avere un’età in cui si interessano a qualcosa di diverso dalla tv commerciale, cominciano a trovare senso e meraviglia nei libri e nei dischi. Io non potrei mai mettermi nei loro panni, perché sono persone diverse, ma di sicuro mi ricordo molto bene come mi sentivo alla loro età. L’altra ragione di emozione è che questo libro l’ho buttato via due volte prima di riscriverlo la terza ed arrivare a qualcosa che fosse pubblicabile.

C’era molta differenza tra le versioni?

La prima era di mille pagine, quindi assolutamente non pubblicabile. Nella seconda c’erano variazioni di trama, ma non ero soddisfatto del tipo di “pasta” della pagina: quando decidi di raccontare una storia la ritieni qualcosa di davvero importante e cerchi di fare del tuo meglio per renderle onore.

Come concili le tue due attività, la scrittura e il cammino? Hai momenti di ansia in cui temi di non farcela?

L’ansia è una situazione che non vivo: vedo soffrire persone per nulla dal mio punto di vista. Gli ultimi tempi prima della consegna di un romanzo vedono dilatarsi i miei orari di lavoro: l’orario della cena passa dalle 9 alle 11 e anche all’una di notte, sempre con il telefono staccato.  Sono felice perché faccio esattamente quello che desidero, ma tutto deve accordarsi con i tempi del resto del mondo: non puoi passare il giorno di Natale a scrivere e lascare la figlia a piangere senza i doni.  Quando alla fine si spinge il tasto “si stampi” non puoi più far niente e hai un grande senso di liberazione dopo che ti sei preoccupato per mesi di ogni virgola. In generale tutto il mio tempo è dedicato a scrivere o a camminare, che è la mia attività parallela. Penso che a tutti possa servire a immagazzinare ossigeno, aria fresca e prendere decisioni fondamentali. Non ho mai visto amici propensi a cambiare la propria vita come in cammino: spinge a essere onesti con se stessi. Nel sentiero di montagna sei continuamente a dei bivi: il te stesso che va a destra sacrifica il te stesso che va a sinistra, con tutti i dubbi che ciò comporta. Per questo sono attività complementari nella stagionalità: la primavera e l’estate sono perfette per andare a zonzo, l’autunno e l’inverno per scrivere. Una ti prepara all’altra. Quando cammini hai una vita molto più regolare, ceni alle 8 di sera e i tuoi ritmi sono scanditi dalle tappe da fare. Per me è difficile immaginare una vita solo di scrittura o solo di cammino.

Hai detto che con questo romanzo chiudi un cerchio, infatti siamo di fronte a una situazione diversa, però leggendoti si coglie l’atmosfera di quegli anni, evocata soprattutto dagli oggetti: se dovessi sceglierne uno che ti rappresenta quale sarebbe?

Senz’altro la bicicletta, che per me era la libertà assoluta: io ne avevo da bambino una fantastica ereditata da mio cugino che sembrava le moto dei “Chips”. Poi ne ho avute parecchie e sull’argomento ho anche scritto un libro “In piedi sui pedali”. Ti dava l’impressione che se non ti stancavi potei arrivare in paesi remoti che conoscevi solo grazie alla mappa del Risiko o all’Atlante. Personalmente non dubitavo di poter raggiungere la Kamtchacka in bici. Ci avrei messo un po’, però …che avventura!

Racconti gli anni Novanta perché pensi fossero più autentici di oggi, dato che non c‘era la tecnologia?

Penso che se fossi nato negli anni Cinquanta racconterei quelli. E’ un fatto biografico: per me sono gli anni della scoperta, della meraviglia, delle prime volte per me, che sono esperienze indimenticabili che mi hanno reso quello che sono. Poi sono successe tante cose, finalmente puoi fare un sacco di cose, ma hai smesso di avere quella facilità e curiosità totale. Non li sto usando come paradigma e non avrei pregiudizi ad ambientare una storia nel presente.  

Come è nata la tua passione per la scrittura?

Per me è quasi fatale essere affascinati dalla narrazione: ci sono troppe storie interessanti e vorresti raccontarle tutte, così di fatto crei un mix di faccende che capitano e le metti insieme. All’Università ho seguito il corso di Umberto Eco e sono stato colpito da “Esercizi di stile” di Queneau per la possibilità di narrare la stessa storia in tanti modi diversi. Questo libro mi era stato consigliato già a mio padre ed è a quel punto che ho cominciato ad apprezzarlo in un modo nuovo. Famiglia e cultura creano una base fondamentale di conoscenza.

In quali personaggi ti riconosci di più?

Io li creo pensando alla vita reale: in essa ci scambiamo i ruoli e possiamo essere affascinati da perone molto diverse da noi. Ognuno ha la possibilità di diventare quasi tutto: questo sono i miei personaggi.

Quale emozione della gioventù ritieni particolarmente importante?

A quell’età troviamo interessante fare cose pericolose per non essere disconosciuto dai pari. Prendersi paura è salutare.

 

 

 

Milanese di nascita, ha vissuto nel Varesotto per poi trasferirsi a Domodossola. Insegnante di lettura e scrittura non smette mai di studiare i classici, ma ama farsi sorprendere da libri e autori sempre nuovi.

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