Scambiamo quattro chiacchiere con Roberto Saporito autore che non ha bisogno di troppe presentazioni. Sulla scena da oltre due decenni, lo scrittore piemontese ha toccato dal noir, al poliziesco, alla narrazione beat.
Roberto, da quando hai iniziato la tua carriera cos’è cambiato nel mondo editoriale e nel modo di concepire la letteratura.
Tutto è più veloce, direi troppo veloce, la vita media di un libro si è ridotta ormai ad una manciata di mesi, si pubblicano troppi libri, che poi nessuno legge dato che i lettori sono sempre di meno, sono quasi una “razza” in via di estinzione: non è certo un buon momento per l’ambiente editoriale
Il tuo libro “Il caso editoriale dell’anno” gettava uno sguardo complessivo su un mondo, come quello editoriale, difficile da comprendere per chi non vi è dentro. Si può essere un po’ ottimisti o ormai tutto è irrimediabilmente perduto?
Un minimo di ottimismo bisogna pur averlo se si vuole continuare a far parte di questo strano mondo, se si vuole continuare a scrivere e a pubblicare: sono convinto che il libro continuerà ad esistere, ma in quale “forma” questo è tutto da vedere, anche se penso che il buon vecchio libro di “carta” continuerà a sopravvivere ancora per tanto tempo, è un “feticcio” difficile da sostituire, in alcuni casi, e per alcune persone, è quasi un “oggetto di culto”, in particolare il libro di “qualità”, quello bello da toccare, da annusare, quello fatto bene, curato nei minimi particolare
Oggi in quale categoria sociale metteresti lo scrittore?
Tra i nuovi poveri.
Credi nei premi letterari?
Poco, dato che in Italia è tutto scarsamente trasparente e le grandi case editrici si spartiscono quelli più importanti lasciando praticamente nulla alle altre, infatti aspiro a vincere un (improbabile e inesistente) “Premio Pulitzer per il miglio romanzo americano scritto in italiano”, o qualcosa del genere.
Secondo te la letteratura deve tornare ad avere un ruolo sociale?
Ce l’ha sempre, in un modo o nell’altro, ma gli scrittori, in quanto “raccontatori” di storie, dovrebbero fare la propria “cosa”, cioè scrivere, senza condizionamenti, ma anche senza voler lanciare messaggi a tutti i costi: i veri scrittori raccontano storie e se queste hanno anche un ruolo sociale, ben venga, ma il compito dello scrittore è scrivere come se ne andasse della propria vita e non per convincere qualcuno a fare qualcosa, scrivere è una necessità e chi dice il contrario non ha capito nulla: scrivere non è un lavoro come un altro, come non lo è la vera arte, e come diceva Jean Cocteau “Scrivere, per me, è un atto d’amore. Se non lo è, è soltanto scrittura.”
Parliamo un po’ dei tuoi progetti futuri.
Il mio nuovo romanzo sarà in libreria nella prima metà del 2015. prima del Salone del Libro di Torino, con Del Vecchio Editore (http://www.delvecchioeditore.com/), uno degli editori indipendenti italiani più interessanti degli ultimi anni, sia per la qualità letteraria, naturalmente, sia per quella “estetica”, per la grande cura della parte grafica, dei libri pubblicati (le copertine di Maurizio Ceccato sono bellissime, opere d’arte di per sé), che pubblica molti autori stranieri e pochi (ma selezionatissimi) italiani (il che mi rende molto orgoglioso di essere uno di questi “pochi”). Il mio nuovo libro è un romanzo molto importante, un tassello fondamentale nella mia crescita come scrittore, un ulteriore passo in avanti nella creazione di un mio “stile” di scrittura sempre più riconoscibile, mio e, spero, di nessun altro ormai. Ma come dicevo è un tassello in una crescita perché come affermava David Foster Wallace “È proprio quando ci si illude di cominciare a capire qualcosa di letteratura, che si cessa di essere letterariamente interessanti.”
Di tutti i generi che hai toccato, quale ti rappresenta di più?
Direi la narrativa senza etichette, perché l’unico vero distinguo è tra buoni libri e brutti libri, il resto sono solo facili “scorciatoie” per editori e librai e giornalisti e editor che devono trovare per forza una “casella” dove metterti, uno scompartimento dove infilarti, una categoria nella quale spingerti e, magari, incastrarti per sempre.
La fuga e il disagio, l’ironia che rende più digeribile l’amara realtà. Questo ho colto nelle tue opere. Tu ti senti un fuggitivo senza meta o un disagiato?
Entrambe le cose, io fuggo da me stesso, ma ritorno sempre per fortuna, e poi ho notato che buona parte dei più importanti scrittori, di tutti i tempi, sono dei grandi disadattati, esistenzialmente inadeguati, non adatti, quindi, alla vita così com’è, alla ricerca, spesso inutile, di un proprio posto nel mondo: da Marcel Proust a David Foster Wallace passando per Charles Bukowski, autori che sento terribilmente vicini, in un modo o nell’altro.
Sto scrivendo queste domande mentre ascolto Pretty Vacant dei Sex Pistols. Ascolti musica mentre scrivi?
Lo facevo, e non lo faccio più perché mi deconcentra (starò invecchiando? È possibile), ma la musica è fondamentale, non posso farne a meno, se non scrivo o leggo ascolto musica, dalla New Wave degli anni ottanta all’indie rock, passando dalla musica classica al jazz: anche qui l’unico vero distinguo è la qualità. E spesso nei miei romanzi aggiungo anche una “colonna sonora”, cioè un elenco di canzoni che mi hanno accompagnato durante la stesura del libro.
Un saluto a Gli amanti dei libri.
Vi saluto con una frase di Michel Houellebecq, uno dei miei scrittori preferiti: “Vivere senza leggere è pericoloso, ci si deve accontentare della vita, e questo comporta notevoli rischi”.