Emiliano Gucci è uno scrittore e giornalista fiorentino a cui abbiamo sottoposto alcune domande sul suo ultimo romanzo “Nel vento” (Feltrinelli editore). Ecco cosa ci ha detto.
Quali sono i punti di forza del suo romanzo, da sottolineare ai lettori?
È il mio romanzo, sono di certo la persona meno adatta per rispondere a questa domanda. Lascio l’incombenza alle recensioni uscite (alcune davvero molto centrate), che tra l’altro sto raccogliendo sul mio sito (solo quelle belle, s’intende).
Nel libro ho riscontrato la presenza di un dualismo tra la staticità del protagonista che rimane immobile mentre il padre uccide il fratello e la dinamicità degli atleti, pronti a scattare e a liberare l’esplosività delle loro gambe. Quale chiave di lettura ci dà di questo?
Questa “è” una chiave di lettura, relativa a uno dei temi del romanzo. Il mio centometrista doveva pensare la stessa cosa, cominciando a correre, nel tentativo di non essere mai più la persona inerme che il destino ha incontrato quel giorno. Poi anche quel luogo, l’atletica, si rivelerà invece una nuova gabbia, paradossalmente ancor più paralizzante.
È presente sia il tema del doping sia quello delle scommesse illegali. Qual è il suo punto di vista in merito a questi due flagelli dello sport?
Che cosa vuole che le dica. È roba brutta. Ma il presente ha problemi più gravi, tutto è drogato e corrotto intorno a noi. E, come dice il mio centometrista, è ovvio che la «luccicante vetrina di un mondo sporco» abbia il retrobottega laido. Trovo più sconcertante chi ogni volta, davanti a un nuovo “scandalo”, cade dal pero come se gli si rivelasse chissà quale verità. Ritroviamo il senso dell’essere uomini e poi puliremo anche lo sport.
Ha preso spunto da qualche gara sportiva realmente svoltasi nel panorama mondiale prima di scrivere questo romanzo?
No.
Secondo lei un romanzo che ha come tema di fondo lo sport che caratteristiche deve avere per essere avvincente e di successo?
Non so cosa risponderle. Non so cosa sia il successo, non ho ricette per l’intrattenimento, sia da autore sia da lettore sono ben altre le cose che cerco in un romanzo.
Per concludere, quale messaggio vorrebbe lasciare ai nostri lettori?
Sento Nel vento come un romanzo che parla di sport ma che racconta una sfida ancora più dura, più nobile, che credo possa riguardare anche chi non ama l’atletica. Scrivendolo ho corso insieme al mio centometrista imbattendomi nel cosiddetto sistema, che non si accontenta più di controllare corpi e intelligenze ma intende nutrirsi delle nostre anime; ho affrontato il passato, vero o illusorio che sia, e così i nodi irrisolti, i dubbi e le colpe, quelle zone che possono restare in ombra o che spesso ci raccontiamo con una luce di comodo, per la paura di guardare oltre. Mi sentivo incoraggiato e sostenuto da un’umanità simile, sorella, che altrove correva la mia stessa gara, magari interiormente, magari facendo un altro mestiere o cercando di individuare un libro che in qualche modo la accompagnasse. Ecco, io sarei contento se alcune di quelle persone, che esistono, trovassero in questo romanzo una forma di abbraccio, ne condividessero anche parzialmente il tragitto, i motivi. Non ho messaggi da lasciare: le mie bottiglie sono i romanzi che scrivo, metto tutto lì dentro e spero che la corrente le trascini tra le mani giuste, che qualcuno togliendo il tappo possa trarne qualcosa. Tutto qui.