Waterloo – Bernard Cornwell

Titolo: Waterloo
Autore: Cornwell Bernard
Casa Editrice: Longanesi
Genere: storico
Traduttore: Donatella Cerruti Pini e Andrea Mazza
Pagine: 324
Prezzo: 17,60

Quest’anno stiamo  per entrare nell’anniversario dei duecento anni di una delle più grandi battaglie dell’età moderna. Il 18 giugno del 1815 sulla collina di Waterloo, a poca distanza dalla capitale belga, venne definitivamente sconfitto Napoleone Bonaparte. Lo scrittore inglese  s’è cimentato in una precisa ricostruzione di una battaglia che è definita il punto di confine fra l’età l’età moderna e quella contemporanea. Il libro non è un saggio storico, ma, a mio avviso, un romanzo epico della storia moderna.

La storia classica possiamo dire di conoscerla tutti oramai dai libri di storia, ma in questo libro c’è molto di più.  Credo che quest’opera ci permette di leggere la storia in tre dimensioni, di conoscere i personaggi con le loro vanità ed incertezze, di vedere l’umanità dei grandi generali o la tracotanza di re, come quello d’Olanda, trovatosi catapultato sul campo di battaglia a governare, senza averne le capacità, un battaglione.

Il romanzo comincia un anno prima della fatidica battaglia, ovvero nel 1814 e ci mostra i due futuri protagonisti della battaglia. L’autore descrive da una parte Napoleone che freme nel suo esilio inoperoso dell’isola d’Elba mentre vediamo come il duca di Wellington fosse molto attivo e,  sebbene avesse smesso i panni di generale per quelli di ambasciatore inglese alla corte di Francia, controllava abilmente la zona che divideva la Francia nel timore di  una nuova possibile guerra  Nelle prime pagine vediamo subito la differenza fra i due generali, infatti se per il generale inglese “la guerra era un’incresciosa necessità. Se andava affrontata bisognava farlo nel modo migliore, con la massima efficienza, ma al solo ed unico scopo di ripristinare la pace” (pag 13) per Napoleone che si sentiva un guerriero indomito era diverso, infatti l’imperatore dei francesi “amava la guerre, fin troppo”(pag 23)

Nel Febbraio del 1815 Napoleone fugge dall’isola e, grazie al malcontento dell’esercito francese, riesce subito a radunare subito un numero elevato di soldati e in poche settimane riprende il potere e conquista Parigi. Il numero dei soldati che abbandonarono il re per passare sotto Napoleone è impressionante “La lealtà dell’esercito francese nei confronti del nuovo monarca svanì in un attimo e duecentomila uomini si unirono a quelli di Napoleone” (pag 28). Napoleone però, come ci viene descritto da Cornwell, non era più il giovane combattente delle prime battaglie pieno di vigore e decisione, ma un uomo provato dalle tante guerre, un po’ sovrappeso, che spesso faceva fatica a stare a cavallo, ma soprattutto tendente a delegare agli altri certe fasi (forse cruciali) della battaglia.

Nel leggere il libro scopriamo quanto Napoleone non fosse spaventato dalla sproporzione numerica fra il suo esercito e le forze anglo-prussiane poiché era abituato a combattere nemici più numerosi di lui. “La sua forza era numericamente inferiore, ma era  già accaduto in precedenza e lui era un genio nelle manovre” (pag 38-39). L’imperatore dei francesi sapeva che, come nel passato, doveva sconfiggere in fretta un nemico e poi occuparsi dell’altro, insomma doveva agire in modo tale da spingere l’esercito inglese verso la madre patria e poi affrontare in maniera decisa l’esercito prussiano.  L’esercito francese era ben preparato, si fidava del proprio generale e soprattutto incuteva timore al nemico per le tante battaglie vinte nei vari terreni di guerra.  Cosi i soldati francesi erano visti da un pittore inglese del tempo “Benjamin Haydon pittore  descrisse i soldati della Guardia francese  “sembravano autentici banditi, avvezzi a compiere stragi. Hanno i volti segnati dalla depravazione , dal cinismo e dalla sete di sangue” (pag 53).

Alla fine cos’è mancato a Napoleone diremmo noi per vincere questa guerra?. Da una parte il fattore ambientale come già avvenne in Russia, ma, se laggiù fu il generale inverno,  qui furono le forti piogge che resero difficile l’avanzata dell’artiglieria come le preziose manovre dei suoi cavalieri. “Un furioso temporale, come non ne avevo visto mai, si scatenò all’improvviso su di noi….nell’arco di  pochi minuti la strada e la pianura circostante si trasformarono in un acquitrino che divenne sempre più difficile attraversare….. Uomini e cavalli affondavano nel fango fino alle ginocchia e l’oscurità sempre più fitta impediva alle truppe di vedersi reciprocamente”. L’altro fattore fu prettamente umano ovvero l’inspiegabile ritardo del generale francese Nay nell’attaccare l’esercito nemico sintetizzata dall’autore in poche parole a pag 64 “Il più indomito degli indomiti esitò”.

L’abilità dello scrittore sia stata proprio quella di condensare in poche parole o immagini personaggi che hanno fatto la storia. Nel finale ha saputo, come un abile pittore, rendere vivo il risultato di quella immane tragedia ….  “Una rossa linea di morti, agonizzanti e feriti. Una scena terribile. E, dinanzi a loro, nella valle, altri corpi e migliaia di carcasse di cavalli morti o feriti” (pag 290).  Un libro che, come dicevo all’inizio, non è solo storia, ma anche vera epica con  descrizioni di tamburini che continuavano a suonare indomiti anche quando perdevano uno dei due arti superiori o si parla di semplici soldati che davano la vita per i loro generali, senza contare l’eroismo della gente comune “Martha (moglie di un soldato), con indosso un abito di seta nera e uno scialle leggero, non smise di cercare suo marito……, raggiunse a piedi Bruxelles, percorrendo oltre trentacinque chilometri, per di più sotto un diluvio cosi spaventoso che Wellington disse di non averne visto uno simile nemmeno in India”.(pag 104).

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