
Autore: Mimmo Gangemi
Data di pubbl.: 2015
Casa Editrice: Bompiani
Genere: Narrativa
Pagine: 201
Prezzo: 17 €
Oggi voglio raccontarvi di Mimmo Gangemi, scrittore reggino che parla della mia Calabria. Un acre odore di aglio è la sua ultima fatica letteraria. È un romanzo senza eroi, ambientato in un borgo dell’Aspromonte. Narra le vicissitudini di una famiglia. Tre generazioni in un secolo di storia che abbraccia dalla fine del Risorgimento italiano all’alluvione del 1951 che devastò il reggino.
È in questa terra del rimorso, della sopraffazione, della superstizione che si sviluppa la trama. In questa Calabria rurale e povera non c’è la forza delle idee ma quella del “malocchio”. Ce lo ha detto anni fa anche un antropologo come Ernesto De Martino nel suo Sud e magia.
È “l’essere-agito-da” a prendere forma. La mala sorte dei contadini è un mondo invisibile che sta sopra le loro teste, nel cielo della disperazione. È abitato da demoni che si combattono con gli scongiuri. Non c’è emancipazione che tenga, perché siamo in presenza di una società chiusa, arroccata nell’indifferenza del tempo e della storia.
Cos’è l’uomo in questo inferno?
È degradato a bestia e il riscatto si costruisce nel silenzio, dopo aver accettato le regole del gioco. Sebbene i personaggi di questa famiglia tentino di opporsi agli ex signori della decaduta monarchia borbonica e ai nuovi gerarchi fascisti, restano figli di una battaglia individuale, amorale per certi versi, perché non è fonte di proselitismo. Insomma, in questa Calabria, non ci sono uomini che fanno la storia ma individui che si riscattano in illusioni terrene, su cui pende l’insindacabile giudizio della buona o della cattiva sorte.
Il titolo del libro ci dice già qualcosa. L’odore acre dell’aglio è un “profumo” che si spande senza preavviso, che si annusa nei momenti di afflizione. Ma non è una psicosi collettiva, è un segno che proviene da quel mondo invisibile, dove i demoni si divertono a tramare contro gli essere umani.
Gangemi, quindi, ci porta per mano in questo universo esistito davvero, declamato in mille poesie e descritto in tanti altri romanzi. Ma questa volta lo scrittore di Santa Cristina d’Aspromonte dà anche un senso nuovo alle fatiche di questa famiglia, quella del rifiuto dell’abbandono della propria terra. C’è la vita di un popolo laborioso, che si sacrifica, che non piange, che non si arrende. C’è una Calabria orgogliosa, c’è un sentimento di amore che sfida le incombenze della vita.
Queste pagine sanno commuovere e sanno agitare in noi qualche risata. È un’opera che può rinfrescare la memoria dei calabresi e dire qualcosa di inedito al resto dei lettori italiani. Ci troveremo di fronte a situazioni che già abbiamo letto nei libri di Corrado Alvaro, quanto del piemontese Cesare Pavese in La luna e i falò.
Ma dietro ogni libro mi piace scrutare l’anima dello scrittore e Gangemi ce la mette tutta. È l’ethos di un popolo che si sente perennemente in castigo, che rifiuta la lotta di classe per preferire una scalata eroica e individuale. Ma c’è anche quella generosità fanciullesca, quei sentimenti arcani, dionisiaci, che distruggono le apparenze e si spingono nell’estrema ricerca del bene.
In questo contrasto vive ancora oggi la mia Calabria. Quella che Gangemi ha saputo raccontare con amore e con materna premura. Ed è proprio alla mamma che lui dedica quest’opera.