OLTRE LA PENNA di… Simone Regazzoni

La letteratura nell’epoca neo-narrativa della serialità televisiva

E’ ormai quasi un luogo comune: lo spirito della letteratura ha abbandonato i libri, per reincarnarsi nelle serie tv americane.

Non si tratta, con lo snobismo tipico dello scrittore nostrano tutto chiacchiere intellettuali e Foster Wallace, di liquidare questa affermazione – sostenendo, ad esempio, che la serialità televisiva americana è solo una buona forma di intrattenimento. Piuttosto, occorre operare un’analisi più precisa di un fenomeno in corso. Che cosa accade alla letteratura nell’epoca della nuova serialità televisiva americana?

La letteratura si trova sfidata sul terreno della narrazione, e appare in grossa difficoltà, come un pugile suonato che si aggiri barcollante per il ring, dando pugni a vuoto. E questo per una ragione ben precisa: la narrazione come plotting, come costruzione di trame fortemente strutturate, che nel corso del Novecento è stata sempre più trascurata – quando non apertamente osteggiata – dalla letteratura, ritorna in una forma inedita e potentissima nelle serie tv americane. In una battuta: l’arte della narrazione è oggi affare da showrunner.

In questo senso si può dire che la nuova serialità statunitense sia la nuova frontiera della narrazione capace di unire insieme trame complesse e popolarità, in un’epoca in cui la letteratura sembra aver perso entrambe queste capacità. Basterebbe pensare alle recenti dichiarazioni di alcuni scrittori nostrani in merito all’idea di scrivere un romanzo composto da status di facebook nella cornice di un progetto di “autofiction finzionale”… John Milius sognava una prigione per registi. Se ci fosse una prigione per scrittori gli autori di “autofiction finzionale” meriterebbero l’ergastolo per attentato alla narrazione.

Certo: resta ancora, a lavorare sul terreno del plotting, la letteratura di genere; ma anche in questo campo, se si escludono alcune eccezioni legate alla letteratura di genere seriale, il confronto con il lavoro di plotting della serialità televisiva non regge. Forse l’unica opera narrativa che ha saputo davvero competere con la nuova serialità televisiva, in questi anni, è stata la saga di Harry Potter.

Per molto tempo ci avevano detto che il romanzo con una trama era finito: morto e sepolto. Che dovevano misurarci con nuove narrazioni in stile Foster Wallace o Bolaño. Poi sono arrivati i Soprano, Lost, The Wire, Breaking Bad – e oggi Foster Wallace e Bolaño sono ottimi argomenti per discussioni letterarie tra scrittori. E di questo dobbiamo essere grati in primo luogo alla HBO, madre dell’epoca neo-narrativa.

La narrazione come plotting dunque non è né morta né invecchiata: è più viva che mai, e raccoglie un consenso globale. Abbiamo di nuovo sete di racconto; o forse l’abbiamo sempre avuta, ma per gusto di distinzione intellettuale dicevamo che il racconto ci annoiava e che andavamo pazzi per i racconti mal riusciti, ibridi, incompiuti, e per le meta-narrazioni, e i romanzi con le note, e via dicendo. La nostra è un’epoca di trame narrative, come scrive Peter Brooks nel suo Reading for the Plot: “Viviamo in un’epoca di trame narrative. Non facciamo che consumare avidamente romanzi di vario tipo, fumetti, serial televisivi”. Ma in quest’epoca neo-narrativa la narrazione televisiva ha una marcia in più: è la nuova avanguardia del plotting, in grado di unire complessità di trama e capacità di avvincere un pubblico di massa.

Ma che cosa ci dice il trionfo delle neo-narrazioni televisive? Che, come insegnava già Aristotele, la trama viene prima di tutto il resto. Quando nella Poetica Aristotele dice che in primo luogo viene il mythos, dobbiamo tradurre mythos precisamente con “trama”. E’ quanto ricorda anche Brooks nel suo libro: “Leggere al solo scopo di seguire la trama, o almeno così ci hanno insegnato in un momento o nell’altro della nostra educazione scolastica, è un’attività tutt’altro che encomiabile, se non addirittura rozza e ingenua. […]. E invece a rigor di logica bisognerebbe ammettere che la trama possiede una sua priorità rispetto ai motivi preferiti dalla maggioranza della critica: è la vera e propria linea di base, il filo conduttore intorno al quale si organizza il racconto e lo rende possibile in quanto comprensibile e finito in se stesso”.

La letteratura è dunque destinata diventare un fenomeno sempre più di nicchia nell’epoca neo-narrativa della serialità televisiva? No, a patto di misurarsi con le nuove forme di narrazione, accogliendo senza snobismi ed esorcismi la sfida del plotting.

Ha ragione Gabriele Romagnoli quando scrive: “Siamo alla finale: la serie tv sfida il romanzo. Nel precedente scontro del play off aveva eliminato il film: più complessa, più innovativa e capace di sperimentare linguaggi e tecniche della narrazione. Ora resta l’avversario supremo e qualcuno sostiene che anche questo può essere battuto, che la forma di racconto esemplare in questo inizio di terzo millennio l’hanno consegnata ai posteri gli autori di Mad Man o Breaking Bad”.

Sicuramente, per quanto riguarda il round di inizio millennio, la vittoria va alle serie tv.

La letteratura può recuperare?

Sì, se avrà il coraggio di ripensare se stessa. Sì, se gli autori abbandoneranno vecchie pose intellettuali per misurarsi, al contempo, con le esigenze della narrazione e del mercato di massa.

Oggi uno scrittore dovrebbe assomigliare meno a Pasolini e più a uno showrunner come Vince Gilligan.

Foto Simone R. (1)

Simone Regazzoni è nato a Genova nel 1975. È appassionato di serie tv americane, blockbuster hollywoodiani e anime giapponesi. È professore a contratto di Estetica presso l’Università di Pavia. Ha pubblicato diversi saggi tra cui La filosofia di Lost (2009) e, come coautore, La filosofia del dr. House (2007). Tra i suoi progetti futuri c’è l’acquisto di una Chevrolet Camaro RS/SS 396 del 1968. Per Longanesi ha esordito con il suo primo romanzo Abyss.

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