Lettera al mio giudice – Georges Simenon

Titolo: Lettera al mio giudice
Autore: Simenon Georges

Georges Simenon (1903-1989), narratore belga di origine francese è noto al pubblico per la serie di romanzi che hanno come protagonista il commissario Maigret. Quest’ultimo compare per la prima volta nel 1931, in una novella dal titolo “Monsieur Gallet décédé” e diventa una sorta di alter-ego dello scrittore, protagonista di 42 anni di inchieste svolte nella celebre sede della polizia a Quai des Orfèvres. Simenon, che ha svolto il mestiere di giornalista a Parigi, è uno degli scrittori più prolifici della letteratura, con all’attivo circa 450 scritti, che comprendono filoni psicologici e autobiografici. Risiede negli Stati Uniti dal 1945 al 1955 ed è di questo periodo l’opera “Lettre a mon juge”.

Si tratta di una lettera aperta che Charlese Alavoine, medico accusato di omicidio, scrive dal carcere al dottor Ernest Comélieu, giudice istruttore, per spiegargli i fatti del suo processo, ma non solo. Egli gli racconta infatti tutta la sua vita contrassegnata da un rapporto difficile e morboso con le donne. Sposatosi due volte, si innamora infine perdutamente di una ragazza minutina, Martine, pallida e insignificante che cambierà la sua vita fino al tragico epilogo. Il libro mi ha colpito sin dalle prime pagine per l’indagine introspettiva sulla psicologia maschile, effettuata dalla penna magistrale di Simenon. Tramite una scrittura avvincente e una trama tecnicamente costruita alla perfezione, ci si forma l’idea (tra le tante che si possono avere) del come e perché si costruisca in uomini apparentemente normali la tendenza all’omicidio come ultimo atto di possesso e presunto amore per una donna. Charles ci sconcerta, mentre l’universo femminile che lo circonda è fatto di donne che cercano negli uomini la motivazione del proprio essere in vita. Moglie di qualcuno, madre di qualcuno, amante di qualcuno. Per il resto, chi sono queste donne?

E’ vero, sono passati sessant’anni, ma siamo sicuri che le donne siano lontane oggi da questa logica? Dal punto di vista propriamente letterario l’alienazione del protagonista mi è parsa molto simile a quella degli inetti della letteratura del primo Novecento: da Zeno Cosini a tanti personaggi di Pirandello e mi è tornata alla mente tra le altre la novella “La carriola”, nella quale compare una scena di straniamento molto simile a quella descritta a p.82: “Ho cominciato a guardare la mia casa e mi sono chiesto perché fosse la mia casa, che cosa mi legasse a quelle stanze. Quel giardino, quel cancello ornato da una targa in ottone su cui c’era il mio nome”. L’uomo si accorge di essere estraneo al mondo che lo circonda e non riesce più a riconoscere se stesso e il suo ruolo. L’esito di Pirandello è la follia, quello di Simenon l’omicidio (e poi la pena di morte). E’ questo forse uno dei destini dell’antieroe novecentesco e i gialli e i noir moderni non fanno che darcene conto.

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Milanese di nascita, ha vissuto nel Varesotto per poi trasferirsi a Domodossola. Insegnante di lettura e scrittura non smette mai di studiare i classici, ma ama farsi sorprendere da libri e autori sempre nuovi.

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