In quell’estate una trebbiatrice infuocata passò un campo via l’altro lasciando dietro di sé larghe scie di messi tostate. Col suo attendente Titivìllus, nume dei tipografi e dèmone della scrittura, su per una valle appartata ed erta, Belfagòr parlottava da carbonaro, più del meno che del più, gli olimpi si sa anche ai loro confini sono sconfinate portinerie, Là dove c’era vigna ora c’è un duomo insabbiato… il Ballon d’essai lassù, il grande incendiario… e nessuno tra noi che gli dia un’annaffiata di quelle… li ha creati a sua immagine ed eccessiva somiglianza gli scemi e li inzìga a somigliargli… santi numi… Gialla e nera una piccola salamandra apparì su un sasso decotto e, come chi tocca i fili non sempre muore ma ne viene scagliato via, all’urto del calore la bestiolina sussultò, capitombolò, scomparve nel fitto delle felci sotto larici immensi che, poveri generosi, cedevano quel che restava della loro ombra; benché sull’attenti alle parole di Belfagòr, la compassione bagnò gli occhi di Titivìllus. Mon chèr titulì tatuléª, lo riprese Belfagòr, … mescitori di detti ostili a quei che non scendano da una collinetta… anarchici come i tuoi tipografi e scribi… tocca rimediare titivìllus bellìllo… chissà tu non princìpi intanto coll’oscurare quest’impertinenza del cielo.
Con una capriola tale da sembrare un arlecchino colto da ictus, Titivìllus, deùccio di vasto ingegno, balzò in piedi e poi, di volontà ribelle, con gesti e voci tentò per aria una bizzarra macumba; nulla. Belfagòr attendeva, Titivìllus attendeva. L’attesa si faceva attendere quando, con una brusca folgore, scardinò la serenità del cielo; una bella pattona di nuvole via via più sode prese ad abbuiarne la torrida lucentezza e poco dopo piovve; dapprima incerto poi fitto fitto, un sollievo che Belfagòr accolse con un verso non dissimile da quello di un sommelier che ceda alla tentazione dell’acqua. Gli scemi uniti nell’adorarlo il ballon d’essai… oh starnazzano ochette e pollastri… insistono oh che bel cïel ce bielᵇ… capissero che d’acqua sono e che in aria svaporano… a mollo òchi. In quella, come piccione nella tempesta strapazzato e in fuga, sfrecciò per aria un angelo ma, stante degli angeli la leggerezza più leggera, to’ andò a frullare contro una nuvola più spessa e grassa e grossa e gonfia d’acqua, ne rimbalzò, piroettò sottosopra, si avvitò su di sé e con un lampo a terra si schiantò. Va’ da chi han preso gli scemi, concluse soddisfatto Belfagòr.
ª Dalla memoria della propria classicità, Belfagòr pare susciti il Virgilio della prima bucolica: Tìtyre, tù patulaè | recubàns sub tègmine fàgi sìlvestrèm | tenuì Musàm | meditàris avèna; nòs patriaè finìs | et dùlcia lìnquimus àrva. Tìtiro, d’un ampio faggio all’ombra riposi,/e lieve sul flauto un’aria campagnola intoni;/ noi, i confini, i campi alla patria lasciamo cari… ᵇ e del furlano, Oh ce biel – oh che bello.
Ettore Scola, Vittorio Gassman – L’Arcidiavolo – https://www.youtube.com/watch?v=cOqcwTkwidM
Georges Gurdjieff – I racconti di Belzebù a suo nipote – Neri Pozza
Peter Brook – Meeting with remarkable men – 1-11
https://www.youtube.com/watch?v=MiYNaL81BHc&list=PLI6MeyJKMFX0c6O6sSCkiGnMVACMlOX5b