
Autore: Davide Grittani
Data di pubbl.: 2018
Casa Editrice: LiberAria Editrice
Genere: narrativa contemporanea, narrativa italiana
Pagine: 222
Prezzo: € 16,50
La scoperta avviene l’11 settembre del 2001. Mentre i canali televisivi trasmettono le immagini delle Twin Towers in fiamme, Riccardo è solo in casa. I suoi genitori e sua sorella Isabella sono andati a fare spese in un centro commerciale. Riccardo approfitta delle assenze per affondare le mani in una botola, nel terzo cassetto di una madia. Sta cercando un pacco di giornaletti sconci, requisiti e forse stipati là dal padre, ‘sor Cesare’, in un nascondiglio troppo scontato, troppo esposto. Così, il ragazzo incappa nell’imprevisto che gli stravolge la vita. Tre cartelline gialle, all’apparenza anonime, custodiscono gli incartamenti burocratici di un’adozione.
La rampicante, il terzo romanzo di Davide Grittani, edito da LiberAria, si apre e si chiude sullo stesso fermo immagine, Riccardo riverso sull’asfalto, in fin di vita, a seguito di un incidente, la sera del 6 novembre 2016 a Sant’Elpidio. L’autore non ci riserva colpi di scena: il primo capitolo è già il finale della storia. Grittani riavvolge il nastro fino a quindici anni prima, a quel giorno che barattò l’effimero piacere del porno con la dura verità sulla provenienza del ragazzo.
Una famiglia della provincia marchigiana solcata da una crepa di omertà, i Graziosi. Sor Cesare, agente di commercio, è un uomo rude, abituato a comprarsi i silenzi di chi gli sta intorno, a dare qualcosa agli altri per ricevere in cambio fedeltà e deferenza. Anche la presenza di Riccardo rientra nella logica dello scambio. Tutto frana quando Riccardo infrange le regole e chiede, pretendendo una risposta. Non ottiene nulla, se non una muta, cocciuta sentenza di esclusione, un esilio dal nucleo familiare in parte mitigato dall’affetto della madre, Giovanna, lei che lo aveva voluto a tutti i costi, temendo, da giovane, di essere infertile.
La rampicante agita domande che scuotono il lettore. Cos’è la responsabilità? Cosa significa prendersi cura di noi stessi e degli altri? Come dimostriamo di essere all’altezza del dono della vita? Sor Cesare rappresenta l’antitesi della purezza dei fini e dell’affetto incondizionato. Troppo meschino per essere crudele, è il classico uomo che, nella testa e sulle bocche dei compaesani, ce l’ha fatta da solo e da questo ostinato, vincente attaccamento al lavoro ne ha ricavato, in segno di rispetto, l’appellativo sor. Sotto la dura corteccia dell’homo laborans si spande, però, una linfa velenosa. Una rendita nascosta, illecita, macchiata di vergogna. Alla morte della madre, Riccardo, che pure lavora nell’azienda di famiglia come contabile, ne viene a conoscenza attraverso Isabella, complice delle macchinazioni del padre. Sor Cesare, intanto, è gravato da un male che si palesa in forme subdole. All’orizzonte, si profila il trapianto quale unica possibilità di guarigione.
Le Marche sono un immenso pianerottolo senza pareti, una terra che osserva tutto senza staccare gli occhi dall’ombelico: difficile stancarsi di posti come questo, a meno che uno non sia stanco di sé stesso.
Esplorate nei piccoli borghi medievali e lungo colline legate da un filo di dolente bellezza, nel romanzo di Davide Grittani le Marche non sono lo sfondo anodino di vicende umane bensì un soggetto vivo, organicamente collegato alle vite dei protagonisti. Grazie a una scrittura partecipe, sentimentale fino a sfociare in un quieto cinismo che non è distacco, ma paravento, utile a separarci da qualcosa di eccessivo, i luoghi si fanno palpabili, sfolgoranti di luce e di amarezza. La rampicante non sa (non può?) decidersi tra la vocazione adriatica e le suggestioni dell’entroterra selvaggio. In suddetta tensione geografico-romantica fiorisce una prosa affilata nel disincanto. Le Marche sono un grembo vischioso, un richiamo ammaliante. Dalle Marche non si scappa. Chi ci prova, come il povero Tabacco, vi ritorna suo malgrado, senza alcun conforto di gratitudine. La sequenza di terremoti del 2016 sigla, ultimo sfregio, un destino di decadenza politica e sociale.
Non aveva lasciato il paese ma era uscito dalla cinta muraria, fuori dal borgo vecchio in cui era cresciuto lasciando le chiavi nella serratura giorno e notte. Era a andato a vivere in una zona residenziale appena fuori mano, un quartiere chiamato “dei poeti”, giacché la toponomastica aveva concentrato in poche strade classici e contemporanei, e dato che sapeva riconoscerli aveva preso casa all’incrocio tra via Sandro Penna e via Alfonso Gatto. Aveva fittato un appartamento in uno stabile di due piani, con un grande terrazzo e un’edera moribonda ma ancora in vita, una finestra che approfittando dell’ombra e dell’oblio s’era mangiata le finestre del primo e del secondo piano.
La svolta per Riccardo si chiama Edera, “la figlia della scema” secondo le malelingue paesane, dove la scema è la vicina di casa Costanza. Edera, bambina assediata da voci che le parlano da dentro, ferita nella parola, attraversata da segnali di un precoce, incontrollabile genio, viene ospitata con sempre maggior frequenza da Riccardo e da sua moglie Sara, coppia che, in un parallelismo marcato con la famiglia di origine di lui, non riesce ad avere bambini. È lei, bimba-rampicante biondina e in sovrappeso, la nemesi del racconto, l’essenza di tutti gli errori del protagonista ed è lei a rappresentarne il sussulto liberatorio all’alba della morte.
Davide Grittani inasprisce la tavolozza delle sfumature e dei contasti morali: da una parte sor Cesare, incapace di riscattarsi anche a trapianto eseguito, e la figlia Isabella, mediocre regina di calcoli, al contempo temuti e detestati dai compaesani, dall’altra Riccardo e Edera, alleati di risalita, individui gettati nel mondo e proiettati in avanti da istintiva generosità, specialisti dell’inciampo per troppo pathos, impossibilitati, per costituzione, a infliggere dolore. In pochi, sottolinea il dottor Semprini alias “lo stronzo”, psichiatra di Edera, hanno il coraggio di gettare le maschere:
Quella dei buoni sentimenti è la peggior emorragia, perché inarrestabile. Tutte le guerre si combattono in nome della pace. Io voglio stare nella tana del mostro. In questo mondo alla rovescia, quello è il mio posto.
La rampicante non è un romanzo appiattito su una psicologia semplice o imperniato su dicotomie manichee. Grittani offre al lettore uno sviluppo di trama complesso, ramificato in stanze datate a mo’ di diario, corrispondenti a vari episodi disposti in ordine cronologico. La sua indagine si concentra sulla tassonomia di specie umane differenti, non conciliabili, e sull’afflato empatico, che si palesa tra anime simili. Riccardo anticipa gli eventi. Dai sogni, feritoia psichica, intravede il prossimo futuro. L’esistenza può continuare solo in virtù di un passaggio di testimone. A volte, il narratore concede a Riccardo di intervenire in prima persona, riflessioni che incidono i pensieri tra i solchi della pagina. Oltre la consolazione, vi è la perseveranza.
Ho letto, da qualche parte, che i bambini ridono almeno trecento volte al giorno, un’estasi che da adulti si riduce fino a venti o trenta; una curva che racconta come, crescendo, la vita vada spegnendosi. E tu? Quante volte hai riso? Chissà che la tua curva non giri al contrario, riportando indietro le lancette del tempo, restituendoti da adulta le risate che t’ha negato da bambina. Edera, dimmi che sarà così.