Recensione di Emanuela Gervasini
Siamo nel Sud della Francia, in Provenza, a Les Bastides Blanches, vicino a Aubagne, città natale di Marcel Pagnol, autore di Jean de Florette, “quello” gobbo, per via di una malformazione alla schiena, protagonista del romanzo tratto, straordinariamente, dall’omonimo film.
Molti romanzi celebri hanno dato origine a film. Per la prima volta, nel caso di Jean de Florette, un film avrebbe ispirato un romanzo. Nel 1952, Marcel Pagnol aveva portato al grande schermo la storia di Manon delle Sorgenti che un contadino gli aveva raccontato durante l’adolescenza. Dieci anni più tardi, Marcel Pagnol scriverà la storia di Manon e del padre, Jean de Florette. E saranno proprio questi due capolavori, riuniti da Pagnol con il titolo di L’acqua delle colline, a ispirare il cineasta Claude Berri che, nel 1985, porterà l’intera storia allo schermo, rimanendo per ben nove anni sulle colline che dominano Aubagne, teatro dell’intera vicenda. Ed è proprio intorno al tema dell’acqua – acqua come sorgente di vita e causa di morte o sublimazione del passato – che ruota la vicenda del romanzo Jean de Florette. Jean Coderet, figlio di Florette, da qui il nome di Jean de Florette, secondo un’antica tradizione ben radicata nelle campagne francesi che posponeva il nome della madre al nome di battesimo, si trasferisce dalla città in campagna, con la moglie Aimée e la figlioletta Manon, dopo aver ricevuto in eredità una fattoria , da parte di uno zio, ucciso durante un alterco con il vicino di casa, il famigerato Le Papet. Da quel momento, Le Papet e il nipote Ugolin ostruiscono la sorgente che alimenta i terreni della proprietà , con la speranza di comperarla a basso prezzo per poi farne una piantagione di garofani. Ostentando una certa disponibilità nei confronti del vicino, Ugolin e Le Papet architettano di otturare la sorgente, cosicché Jean è costretto a scavare nella montagna per trovare un’altra sorgente, morendo durante un’esplosione per la ricerca dell’acqua. Ugolin riscatta quindi la fattoria aprendo, alla fine, la sorgente davanti allo sguardo stupito di Manon. L’evento darà origine al seguito del romanzo, che avrà come titolo Manon delle sorgenti. Jean è un uomo entusiasta del cambiamento di vita, ha una mentalità aperta, imprenditoriale, mentalità che cozza ferocemente con quella contadina, grezza, legata alla terra, all’avere, alla roba, per citare Verga. L’intento di Jean è quello di allevare conigli, in un luogo paradisiaco che, tuttavia, ben presto, si trasformerà in un inferno. L’acqua, tradizionalmente sorgente di vita, è negata a Jean, così come la società gli nega la possibilità di un miglioramento sociale, di modus vivendi. Alcuni critici hanno visto in questo romanzo la lotta tra il bene e il male, la lotta tra Caino ed Abele, tra una società arcaica e il desiderio di trasformazione e modernità. L’unica speranza di riscatto è la figlia Manon che vede nell’ acqua un prezioso tesoro di cui disporre dopo la morte del padre.
Nota: L’edizione italiana è contenuta in “L’acqua delle colline” Selezione dal Reader’s Digest.
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