
Autore: Marchesi Gualtiero
Casa Editrice: Cinquesensi
Genere: Cucina
Traduttore: S. Brighina
Pagine: 188
Prezzo: 50,00
Gualtiero Marchesi, il Maestro per antonomasia della cucina italiana, grande cuoco innovatore ed esportatore in tutto il mondo di un’arte, quella culinaria, espressione e veicolo della cultura e delle tradizioni del bel paese, è vestito di tutto punto, nonostante il caldo che ci sorprende all’entrata dei meravigliosi Giardini Iblei di Ragusa Ibla. È rilassato e sorridente, curioso e visibilmente contento per le tante persone che sono venute ad assistere alla sua presentazione (a cura di Bob Noto, fotografo e gastronomo) e che non vuole far aspettare. Ci tiene alla puntualità, per questo la prima domanda la fa lui a me: “Impiegheremo molto? Altrimenti la facciamo dopo”. Lo rassicuro, dicendogli che tutto sarebbe dipeso dalle sue risposte. Lui si siede e iniziamo.
Quando parla di cucina, spesso parla di idee che non vanno confuse con l’innovazione a tutti i costi, nella maggior parte dei casi, autoreferenziata di alcuni chef.
Sì, di alcuni cuochi. Io dico sempre “cuochi”, poiché la parola “chef” in sé non significa niente. Esiste infatti lo chef di cucina, lo chef d’orchestra e lo chef de bureau e allora bisognerebbe specificare sempre. Io credo che sia importante anzitutto imparare a conoscere i prodotti e poi la tecnica. Quando si conoscono bene queste due cose, credo che non possano più esistere le cose che si vedono fare in genere. Rispettare il prodotto e metterlo in evidenza sono le prime cose in assoluto da fare. Poi, attraverso la tecnica, il prodotto va usato nella maniera più corretta.
Questo libro è intitolato Opere e non a caso il concetto che emerge di più è la materia.
Assolutamente. L’intento principale era proprio questo. Nel libro racconto un episodio particolare. Quando qualche mesi fa, incontrai Gianluigi Culin, responsabile dell’inserto culturale «La lettura» («Corriere della sera», ndr), parlammo di cosa stavo programmando e lui mi disse che non appena fossi stato pronto, lui mi avrebbe dedicato una copertina (quella del 27 dicembre 2015, ndr), come fa con gli artisti. In quella copertina io metto in mostra la materia, appunto.
Mi ha colpito molto il fatto che alcuni dei suoi piatti traggono spunto più che da altre tradizioni culinarie da altre arti: un libro, un quadro, un mito, una canzone. O anche semplicemente un incontro.
Io dico sempre che bisogna essere curiosi. Quando una persona è attenta ai particolari delle cose che la circondano, non può che diventare creativa.
Il segreto di un grande piatto è quello di generare una sinestesia, ovvero l’incrocio di tutti i nostri sensi?
Sì, certo ed è il mestiere più difficile del mondo. Una volta, parlando con Ermanno Olmi, disquisivo del fatto che così come esiste un orecchio assoluto (per la musica, ndr), esiste anche un palato assoluto. Lui m’interrompe e dice: “Gualtiero, la cucina è la più grande delle arti perché comprende la scienza”.
Recentemente lei ha criticato i reality show sulla cucina. Le chiedo: che consigli darebbe a chi volesse diventare un grande cuoco?
Studiare, studiare, studiare. E fare esperienze importanti, cercando di capire se la cucina davvero gli piace o no e rendersi conto, da soli, nonostante magari le buone basi acquisite, se è il caso di continuare o no.
Secondo lei le potenzialità della cucina tradizionale regionale italiana sono state tutte già espresse?
Le rispondo subito. Il grande cuoco Paul Bocuse disse: “La cucina francese tramonterà il giorno che gli italiani si renderanno conto del loro patrimonio di materie prime e di ricette”.