Incubatore 2015: Deleyva Editore

logo deleyvaChe  direzione  ha  preso  l’architettura negli  ultimi vent’anni?  Cosa  c’è  dietro  le strutture  biomorfe  che  si  diffondono in ogni  angolo   del   mondo?   Architettura Post-Decostruttivista  tenta   di  rispondere a  queste  domande   attraverso una prospettiva   critica   basata   sulla   nozione di   complessità.   Il   testo   esplora   l’itinerario di   ricerca seguito   al decostruttivismo   partendo   dall’opera   di   Zaha   Hadid,   cruciale   nel   superamento del   paradigma   cartesiano e   i cui caratteri     di     molteplicità,     simultaneità,     e     dinamismo     sono     le     chiavi     di     lettura     essenziali     della contemporaneità.
Abbiamo avuto il piacere di capire, più approfonditamente, il progetto edito da Deleyva Editore.

Come è nato questo processo editoriale? Che cosa si intende per architettura ”post-decostruttivista”?
Il progetto della Libreria di TransArchitettura in seno a Deleyva Editore solitamente agisce cercando autori e testi che siano legati all’idea principe del nostro progetto, ossia l’indagine dei rapporti tra immaginario ed architettura. Questa volta le cose non sono andate così: siamo stati contattati da Mario Coppola, che è un giovante professore dell’università Federico II di Napoli, il quale, dopo una mia conferenza tenuta nella sua università, ci ha proposto il suo testo. Da qui al momento della sua pubblicazione è passato circa un anno, in cui si è discusso molto del testo, Un testo, che appunto parla di “Architettura Post-Decostruttivista”, come il titolo poco misteriosamente annuncia. C’è da fare una premessa: lungo tutto l’arco del ‘900, le città in cui viviamo, lo spazio che ci circonda, ha subito una vasta quantità di riforme, influenzando in maniera fatale il nostro quotidiano. Basta pensare all’idea di “periferia”, che ora sempre essere il problema principale relativo ai fatti urbani. Tra queste trasformazioni, alcune sono relative alla politica urbana (come appunto l’istituzione sistematica della nozione di periferia) ed altre sono più prettamente linguistiche. Tra di queste ultime, vi è appunto un movimento nato alla fine degli anni ’80 chiamato decostruttivismo. Il riferimento è alla filosofia di Derrida, anche se in realtà – in sintesi e molto approssimativamente – il cuore di tale linguaggio risiede nel tentativo di scomporre e ridefinire ogni singolo elemento, ogni luogo comune, dell’architettura. Ebbene, il progetto di Mario Coppola si prefigge di definire le tracce che aprissero la strada ad un superamento di questa deriva linguistica.

 

2) Molteplicità, simultaneità e dinamismo vengono indicate come le chiavi interpretative essenziali della contemporaneità, come mai? A cosa si deve questo quadro della realtà di oggi?
Il nostro tempo ha subito un’accelerazione radicale. I Tempi moderni, fatti di ingranaggi e rotelle, sono ormai assolutamente superati, il futurismo ci appare un atleta fuori forma ed ansimante, le autostrade inadatte, la televisione arranca disperatamente. Non sono un apologeta del nuovo per il nuovo, ma è un dato di fatto che il contesto temporale che i nostri corpi occupano ci spinge ad adottare ritmi che sono semplicemente impensabili fino a pochi anni fa. Sarebbe banale affermare che internet ha cambiato tutto, così come vetusto elogiare le incredibili capacità di movimento che i mezzi di trasporto che si è raggiunto. La vera rivoluzione è che tutto ciò viaggia parallelamente e realmente a portata di mano di tutti. Non è possibile illudersi che ci sia un rifugio sicuro: io vivo in campagna, ma non di meno in questo momento sto scrivendo questa mail che verrà recapitata nel vostro computer in una redazione che è probabilmente è a Torino, in attesa di preparare le valigie per un mio viaggio a Napoli al cui ritorno serale ho già preso un appuntamento in cui mi vedrò con un mio amico che vive in Nuova Zelanda. Mentre vi scrivo sto comunicando blandamente con un mio collega di Asti. Il tutto aspettando una comunicazione da uno dei nostri autori, che vive a Parigi. Queste sono banalità che tutti noi viviamo ogni giorno, ed è dovuto al quadro che viene bene descritto da Ray Kurzweil con il termine singolarità. Nei suoi scritti, Kurzweil pone l’accento sull’accelerazione più che sulla velocità. Noi non siamo più semplicemente veloci, noi (in quanto società tecnologica) stiamo accelerando. Che poi si sia reazionari o meno al fenomeno, non lo si può comunque ignorare.

 

3) Quali sono le vostre aspettative riguardo alla partecipazione all’Incubatore e quindi, al Salone del Libro di Torino 2015?
Lo scorso anno l’esperienza è stata molto utile: siamo entrati in contatto con diverse realtà, riuscendo a vedere con un occhio esterno ciò che stiamo facendo. Questo speriamo che sia per noi solo un trampolino di lancio!

 

4) Quali sono i vostri progetti futuri?
Ricordi l’autore francese di cui parlavo poco fa? Attualmente stiamo lavorando ad un progetto editoriale molto ambizioso proprio con lui, Léopold Lambert, un autore che stimiamo molto e che negli anni si è fatto carico della grande responsabilità di parlare di ogni rapporto che si intesse tra corpo e spazio, qualsiasi forma di spazio, e dell’intrinseca violenza di questo rapporto. Il progetto si intitola Topie Impitoyable, che in italiano si può tradurre con Luoghi Spietati, per l’appunto. In questo libro si parla di come ogni forma di discriminazione (razziale, di genere, e così via) abbia creato una serie di segni e simboli che influenzano pesantemente la nostra esperienza dello spazio. A partire dai nostri indumenti (qual è il significato spaziale di una gonna rispetto a quello di un pantalone?) sino all’idea stessa di strada, questo testo analizza alcuni elementi chiave della nostra quotidianità per mostrare come in realtà tutto ciò che ci circonda, in qualche modo, si oppone a noi come individui e come corpi. Il libro è in realtà un invito a considerare con occhio diverso la realtà in cui siamo immersi.

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