Incubatore 2014 – DivinaFollia Edizioni

Silvia Denti, giornalista,  da qualche anno è anche titolare della casa editrice Divinafollia. Sul sito www.divinafollia.altervista.org così scrive: “Spero che queste mie poche righe aiutino tante persone a non smettere di sognare. Per anni ce l’ho messa tutta. Tante volte ho avuto la tentazione di arrendermi. Ci sono stati giorni di disperazione, ma poi ho continuato a lottare. Oggi sono felice. Dopo tanti anni ho realizzato il mio sogno. La mia Divinafollia”. Anche questa giovane casa editrice parteciperà all’Incubatore all’interno del Salone del Libro di Torino, che si svolgerà dall’8 al 12 maggio.

Dal sito DivinaFollia spicca tra le voci del menù INQUIETANTISMO. Cosa intende e come mai ha sentito il bisogno di coniare questo termine?

I vent’anni spesi per l’INQUIETANTISMO, non sono altro che un andare per sapere, sempre di più, pur di esistere, fremere, appassionarmi. Ed è lì il concetto della irrequietezza di coloro che individuo come facenti parte di questo contesto (si veda il mio manifesto, n.d.r.). Tale corrente letteraria è innegabile, proprio perché mi dà dimostrazione quotidiana della sua esistenza. Quando avevo vent’anni io, c’era forte e imponente; oggi persiste, perché chi scrive è spesso allo sbando di sé e degli altri e dunque mette su carta quel dentro che sgorga dal vissuto. La poesia è già insofferenza, bisogno di esternazione, in più ci sono la crisi esistenziale e la consapevolezza del non essere, quindi il malessere che ne sfocia non è sicuramente pacata scrittura, ancor meno rassegnazione. In passato v’erano degli schemi, la forma, per così dire, inseguiva delle regole precise, negli inquieti non c’è e se c’è è un tentativo di scimmiottare i grandi che ci hanno preceduto. Un autore d’oggi non potrà mai scrivere nemmen’io vieppiù, farebbe ridere, ma se lo fa esiste una motivazione è certo differente. Mi aspetto, piuttosto, gli accenti al contrario, la disposizione geometrica, la parola diretta, anche forte, ma al passo con il quotidiano.

Divina Follia è un nome molto particolare. Da dove nasce l’idea e cosa vuole rappresentare?

Amo Platone che, nei suoi Dialoghi, cercò delle risposte.  Diciamo che l’inconoscibile, la paura sana, l’incertezza, sono il sale per tenerci vivi, forti, curiosi. Motore divino e folle, ma anche Socrate fece la sua bella parte quando insisteva col suo non sapere e il sapere di non conoscere. Attorno non c’è nulla, dunque nel nulla noi dobbiamo destreggiarci. Pensate se conoscessimo tutto quanto ci aspetta, non avremmo modo di cercare, no? L’amara verità del nulla è il forchettone nella schiena che ci fa ricchi, nel senso del mettersi alla ricerca incessante di quel vero sapere che ora si sa di non possedere. Senza prolungarmi nel filosofare, vengo a dire che sì, l’editoria, naturalmente per chi se ne interessa ed è appassionato, è uno dei modi per coltivare la ricerca rappresentandola, e da qui la mia, costante, come la guerra, contingente come le battaglie. Non posso farne a meno e ad ogni file che leggo mi ci pongo come un possibile recupero della verità. Ma è un’utopia, però funziona.

Quali sono le sfide che una casa editrice così giovane deve affrontare in un panorama editoriale come quello attuale?

Direi che la sfida maggiore è quella di non ripetere sterilmente e nello stesso modo le cose. Tutto è già stato detto, no? Io, da editore, devo trovare chi utilizza quel tutto in maniera completamente nuova, differente e che si differenzi, ciò per comunicare l’emozione per come abbiamo bisogno di percepirla oggi. Il mio progetto prevede il sostegno all’autore meritevole, una sorta di lavoro di squadra reale e non a parole, così che sia io che lui diventiamo un connubio e non due parti distinte che si fanno la guerra per il guadagno. Ho troppo rispetto per la passione della scrittura per confinarla nell’angolo del dio denaro. Chiaro che ci tocca mangiare, vivere. Ma insieme si lotta e si porta in giro il libro fino a consumarlo, affinché raggiunga l’interesse generale e capillare.  Sono sacrifici, grandi anche, ma ne vale la pena.

Parlando di poesia, di primo acchito, viene in mente qualcosa di tradizionale, classico.. “antico”. Che ruolo ha, a suo giudizio, la poesia oggigiorno?

La parola è ovviamente liquida, una pioggia che ha in sé acqua, luce, acqua, terra, fuoco, ogni elemento possibile. E se fossi parola sarei … tante cose, esattamente tutte quelle che pronuncio o scrivo, che sento, canto, immagino … sì, alcune parole le immagino e le creo, poi magari non interesseranno ad alcuno, ma per me sono importanti. Una parola cambia tutto, anche una sola.  Ungaretti, uno dei miei poeti prediletti, sottolineò tale concetto, eppure anche lui, dalla sua immensa grandezza, non seppe forse proferire andando al di là, disarmato dai limiti umani, perché la parola (come termine, sostantivo femminile singolare) è già un mondo, un Universo, e laddove c’è dolore c’è valore (per dirla con Ungaretti stesso), c’è silenzio anche, ad esempio nella bellezza, in tutto ciò che non fa rumore … La parola stessa è già poesia.

Cosa vi aspettate dalla partecipazione all’Incubatore di quest’anno?

Ci aspettiamo partecipazione, curiosità, considerazione anche se siamo ancora piccoli e la strada per crescere è lunga. Ma abbiamo dalla nostra volontà e dedizione, voglia di fare e di far riemergere la scrittura vera, quella di chi lo sa davvero fare, quella che prevede il dono naturale e io conseguente impegno. I nostri libri sono colorati, chiamano alla lettura, alla vita. Perché indossa appieno le emozioni vive.

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