L’altro giorno mi trovavo in una scuola materna per condurre un’attività sensoriale con dei bambini di 5 anni. Pioveva e la passeggiata in programma si è trasformata in un incontro nella palestra della scuola. Se Maometto non va alla Natura, la Natura va a Maometto… così ho preparato un gioco sensoriale da fare al chiuso e ho riempito uno scatolone di foglie, rametti, sassi, muschio e altri elementi naturali. Nell’esatto momento in cui ho estratto un fungo dalla scatola, un bambino ha esclamato: “Una volta ne ho visto uno sull’iPad di mio papà”. Certo non è una novità che per molti bambini il rapporto con la realtà sia mediato sempre più spesso dagli apparati tecnologici. Ma la curiosità è montata e ho fatto la fatidica domanda: “Bambini, chi di voi è mai andato a fare una passeggiata in un bosco?”. Sono sventolate sei manine su venti bimbi. Mmh, da un paesino adagiato alle pendici di una delle montagne più boscose della Lombardia, ci si potrebbe aspettare di più. Ma non mi sono stupito più di tanto. Dieci anni di corsi di educazione ambientale nelle scuole mi hanno abituato a ben altro. Ho visto bambini indossare guanti in lattice nel bosco perché i genitori avevano paura che toccassero qualcosa di pericoloso, ho visto scolari estrarre costosissimi smartphone nel bel mezzo di un’attività sensoriale, ho visto intere classi assolutamente spaesate in un contesto naturale, senza alcuna curiosità di ascoltare, annusare, toccare. D’altronde, tra noi educatori ambientali del nuovo millennio, è risaputo che la cosa più difficile da ottenere da un gruppo di alunni è quella di sedersi per terra in un bosco: alla timida richiesta dell’educatore si alza un coro di “che schifo”, “se mi sporco i pantaloni mia mamma mi uccide”, “ci sono gli insetti”, e così via.
Ora, dare la colpa ai bambini per questa disabitudine alla natura sarebbe davvero ingiusto, insopportabilmente ingiusto. Tanto più che l’esperienza mi dice che il 99% di loro è in grado di riconnettersi in modo molto veloce ai propri sensi, se solo gliene diamo l’opportunità. Di certo non hanno bisogno di prediche o sermoni su quanto sia importante amare e rispettare piante e animali. Hanno solo bisogno di tornare liberi di sperimentare, in un mondo che invece è fatto di divieti e paure. Che bello sarebbe un giardino di un condominio con cartelli tipo “Vietato non calpestare le aiuole”, “Prego, arrampicarsi sugli alberi”, “È severamente vietato non annusare i fiori”.
I bambini di oggi sono bersagliati da input talmente forti e frenetici da costringerli a costruire dei filtri protettivi per sopportare gli stress che il nostro sistema nervoso, per sua natura, non si è ancora evoluto a sopportare. Il problema è che i bambini portano con sé questi filtri anche durante una passeggiata nel bosco.
Come accennavo prima, però, una serie di esperienze positive e divertenti a contatto con la terra possono ripulire i filtri in modo sorprendentemente rapido, a patto che non si agisca quando è troppo tardi e le barriere attitudinali sono diventate insormontabili.
Purtroppo in Italia, a differenza che in altri Paesi, l’educazione ambientale non è mai stata considerata una materia di insegnamento vera e propria. È stata spezzettata qua e là, un po’ in Scienze, un po’ in Geografia, qualcosina in Tecnica… Ma è possibile che venga trattata in questo modo una materia che dovrebbe consentire alle future generazioni di non autodistruggersi? Inoltre, l’approccio più gettonato dagli educatori è quello di descrivere ai bambini le catastrofi che si abbatteranno sul nostro pianeta se loro stessi non faranno la raccolta differenziata o non diminuiranno le emissioni di anidride carbonica. Temi validi e purtroppo realistici, non c’è dubbio, ma che in prima battuta, su un bambino, provocano una reazione di rifiuto e di fuga dal problema. “Ma come, caro Maestro, voi adulti avete ridotto la Terra in questo stato e ora passate la patata bollente a noi bambini? No, grazie, preferisco chiudermi nella mia cameretta. Vedetevela voi grandi con l’effetto serra”.
Per proteggere la natura bisogna prima imparare ad amarla. Questo dovrebbe essere il dogma di tutti coloro che si vogliono occupare di educazione ambientale. Seminare i sentimenti per la Terra prima che le azioni per salvarla. Se un bambino non trova bello e divertente un bosco, se non svilupperà attraverso i sensi il piacere della scoperta, se non si sporcherà le mani e le ginocchia nel fango e tra le foglie, se non potrà arrampicarsi sui rami sentendo la corteccia sulla propria pelle…beh, non possiamo pretendere che un giorno quello stesso bambino si prenda cura dell’ambiente e che cambi le proprie abitudini quotidiane per diventare improvvisamente green.
Quando ero piccolo c’era un grande cedro del Libano nella piazzetta in cui noi bambini giocavamo. Sono cresciuto sotto i suoi rami, ne ho respirato la resina, ho goduto della sua ombra e qualche volta mi sono addormentato cullato dal suo canto nella brezza della sera. Qualche tempo fa sono tornato in quella piazzetta e al posto del grande cedro ho trovato una palma nana. Mi hanno detto che le radici costringevano il Comune a rattoppare ogni tanto l’asfalto della piazza. Chi mi conosce sa che non sono tipo da gesti estremi, ma vi assicuro che se avessi saputo che avrebbero abbattuto il mio albero, mi sarei incatenato al tronco. E non lo avrei fatto perché “abbattendo anche un solo albero aumenta l’effetto serra”. Chi se ne frega dell’effetto serra, quello era il mio albero. Il compagno della mia infanzia. Avrei lottato. Ve lo giuro, avrei lottato.
Giuseppe Festa, laureato in Scienze Naturali, progetta e realizza percorsi di educazione ambientale per le scuole. Ha prestato più volte servizio di volontariato al Parco Nazionale d’Abruzzo, vivendo a stretto contatto con i guardaparco. Nel 2001 ha fondato il gruppo musicale Lingalad, di cui è cantante e autore. La sua musica, carica di suggestioni evocate dal mondo naturale, ha incontrato un vasto consenso di critica e di pubblico e lo ha portato a esibirsi su prestigiosi palcoscenici internazionali, da New York a Bruxelles, da Toronto a Francoforte. Tra le montagne abruzzesi ha imparato a conoscere e amare gli orsi. Il sito dell’autore è www.giuseppefesta.com. Il suo libro, edito da Salani, è Il passaggio dell’orso.