Titolo: Il turchetto
Autore: Arditi Metin
Editore: Neri Pozza
Traduttore: R. Boi
Anno di pubblicazione: 2012
Pagine: 256
Un romanzo sulla pittura e sull’intolleranza religiosa nell’Europa del Cinquecento. L’autore turco ci mostra come tutte le religioni monoteistiche, anche nel rigoglio delle arti del Rinascimento, ponessero forti limitazioni all’estro dell’artista. Sia nella religione ebraica che in quella musulmana vigeva il ferreo divieto nel rappresentare non solo Dio, ma anche tutte le sue creature, l’unico arte che si sviluppò nel mondo arabo era quella della miniatura e della calligrafia.
La storia è quella di un grande pittore, allievo di Tiziano la cui arte e fama furono dimenticate a causa di un intolleranza religiosa talmente cieca da non capire che tutti i credenti possano creare opere eccelse.
Elie giovane ebreo molto abile fin da piccolo nell’arte del ritratto, deve nascondere il suo talento perché sia la religione paterna che l’ambito culturale arabo vietano categoricamente la raffigurazione de l creatore e del creato. Il giovane frequenta la scuola di un miniaturista e calligrafo di Costantinopoli dove imparerà l’arte del segno preciso e l’accuratezza del dettaglio. Riuscirà a fuggire da Costantinopoli e con una nave veneta raggiungerà venezia con una falsa identità. A Venezia con nome e identità greca svilupperà e migliorerà il suo genio innato andando a imparare bottega, in poco tempo il suo nome correrà per tutta Venezia e avrà molte commesse da parte di privati e ordini religiosi. La sua abilità consisteva nella precisione del tocco acquisita nella scuola del calligrafo turco e nella scelta dei colori molto caldi e intensi che davano espressività ai personaggi delle sue opere. Come la sua popolarità era cresciuta rapidamente in breve tempo cadde in rovina quando le sue origini ebraiche vennero scoperte. Il pittore fu costretto a fuggire e le sue opere furono tutte distrutte ad eccezione di un quadro trafugato a Roma da un vescovo illuminato.
I pregi di questo libro sembrano simili a quelli dello stesso pittore perché lo scrittore è preciso nel delineare la mentalità e la cultura di una società ancora ottusa ed intollerante, inoltre sa usare le giuste tonalità per esprimere le personalità dei personaggi che con le loro luci e ombre sembrano quasi uscire dalla bidimensionalità della pagine e diventare attori di una tragedia teatrale.