Il rapimento – Anouar Benmalek

Titolo: Il rapimento
Autore: Benmalek Anouar
Casa Editrice: Atmosphere libri
Genere: thriller
Traduttore: Daniele Petruccioli
Pagine: 283
Prezzo: 18.00 €

Lascia in balia di un crescente senso di vuoto, paura e angoscia, che va al di là della suspense, questo romanzo di Anouar Benmalek, Il rapimento. E’ un thriller psicologico e lo è nel senso    più stretto del termine, perché non è tanto la storia quasi incredibile attorno alla quale nasce l’idea del rapimento della quattordicenne Shahrazàd, figlia di Aziz, biologo dipendente di uno zoo di Algeri, che forma il cuore del mistero. E’ quello che è accaduto cinquantanni prima piuttosto, dentro una guerra d’Algeria che in tanti vorrebbero cancellare ma che le vittime non vogliono sia ignorata e, soprattutto, è l’incedere senza sosta di colpi di scena crudeli e capaci di annientare, che trascina in un giallo mozzafiato.

Benmalek utilizza un linguaggio crudo, talvolta forse fin troppo: termini che non vanno per il sottile, quasi a voler sottolineare la brutalità di quanto accaduto e sta accadendo e che costringono il lettore a sentirsi a disagio davanti ad una ferocia e ad una violenza che sembra tutta presente, racchiusa nello strano e inspiegabile rapimento di una ragazzina nel giorno del suo compleanno. La storia affonda le proprie radici nel passato invece, in un dolore e in un odio che vengono da lontano, da un “maledetto passato” che nei protagonisti “ha piantato un chiodo arrugginito nell’anima impossibile da strappare via”. Poco importa che a dire questa frase sia una donna, Latifa, nonna della piccola Shahra, la ragazzina rapita, per spiegare il perché della morte del primo marito Tahari, quella frase sembra davvero condensare il destino di tutti coloro che ruotano attorno a questa storia.

L’ipotesi iniziale di Aziz, e di sua moglie Meriem, che la bambina possa essere stata rapita dagli islamisti radicali lascia spazio, a poco a poco, ad una realtà più cupa, misteriosa e difficile da gestire nell’impossibilità di prevedere le mosse del rapitore.

Della “Cité joyeuse”, il quartiere dove Aziz vive e che per il protagonista fin dall’inizio non ha nessun riferimento alla gioia che sembrerebbe annunciare, si dice molto poco nel libro, se non all’inizio. Quella finta gioia beffarda racchiude tutto, non fosse altro per il nome del rapitore, svelato solo alla fine, particolare che non rivela nulla in più di quanto si sia già scoperto e si scopre nella seconda parte del libro: nome proprio che potrebbe anche non essere mai rivelato, apparendo il personaggio concretamente solo alla fine (per tutto il romanzo è soltanto una voce al telefono), ma che invece contribuisce a rendere la situazione ancora più spiazzante e paradossale. Si chiama “Zahi, “il gioioso”.

La gioia finisce in Aziz e nella sua famiglia nel momento in cui viene rapita Shahra e tutto inesorabilmente cade sempre più in basso. E con quella gioia sembra anche finire un amore che invece non finisce mai. Non finisce certo, né mai accenna a diminuire, quello dei genitori e dei nonni per la ragazzina. Sembra essere finito, e invece esulta in un inno straziante e forse in ritardo, quello tra Aziz e Meriem, alla quale l’uomo rivolge, in uno dei momenti più bui e difficili, un sorriso destinato a scaldare l’anima per metà e per l’altra metà a raggelarla. <<Mi hai usato la grazia di vivere con me e darmi una figlia, Meriem. Tanto basta perché la mia vita non sia stata da buttare>>.

E c’è, allo stesso tempo, un affresco dell’Algeria contemporanea, con la sua violenza e il suo tentativo di riscatto, che appare e scompare, mischiandosi alla tragedia del singolo ancor più immersa in un turbine che pare senza uscita dal continuo “palleggiare” tra narratore esterno e prima persona. Una prima persona che ora è Aziz, ora il suocero Mathieu, disertore francese che salva un prigioniero algerino che ha torturato, quello stesso Tahar di cui sposerà la vedova e con cui condivide il terribile segreto che è alla base del rapimento della nipote.

E non c’è, pur nella violenza che vuole vendicare una violenza più antica, nessun senso di liberazione. Chi vuole la vendetta vuole anche lasciare quello che lui chiama “il mio erede”, qualcuno che, quando lui non ci sarà più, sarà appunto erede del suo dolore <<Ho bisogno di qualcuno che continui a soffrire quello che ho sofferto io, e che sempre, in ogni luogo, parli dell’origine del suo dolore […]. Un dolore immenso è perfetto, per non dimenticare!>>.

Un dolore che non è dato da una violenza generica, ma da quella sugli affetti. Paradossalmente è anche la voglia di vendicare i propri cari uccisi a portare qualcuno nella guerra, come aveva confidato Tahar all’amico Mathieu: “Non ti ingannare, Mathieu, non combatto per l’FLN, ma per mio padre e mio fratello”. E forse anche per vittime sconosciute “che non mi avevano fatto niente e io ho ammazzato come cani”.

La speranza di un futuro, di una vita nuova, è forse in quel viaggio finale, un viaggio di liberazione che riguarda alcuni animali dello zoo ma sembra assumere un significato più vasto. Ma che non riuscirà a far dimenticare l’orrore.

 

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Prendete racconti per bambini e ragazzi, unitevi romanzi gialli, shakerate ed ecco che salto fuori io: letteratura per ragazzi e thriller sono passioni che mi accompagnano da sempre, insieme comunque alla condivisione del decalogo di Daniel Pennac con i suoi dieci imprescrittibili diritti del lettore. Che prevedono anche quello di “leggere qualsiasi cosa”, pur avendo una spiccata passione per quanto enunciato in apertura di presentazione. Pensando in ogni caso che nelle pagine, non sempre, ma in molti, moltissimi casi, uno scrittore ci sta donando qualcosa di profondamente suo: non per forza un ricordo, ma anche solo un modo di esprimersi, un ritmo narrativo, e ogni volta una creazione. E dunque una forza che va almeno conosciuta. Se poi questa forza avvolge fin da piccoli e aiuta a diventare lettori, oppure dissemina le pagine di indizi che trascinano chi legge in un’inchiesta al cardiopalma… allora conoscerla mi piace ancora di più.

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