Era nell’Aria, un romanzo che racconta l’incrociarsi di quattro esistenze diverse immerse nell’atmosfera frizzante della Barcellona inizio anni ’60, vincitore del prestigioso premio Nadal 2013. Abbiamo intervistato l’autore, Sergio Vila-Sanjuán, celebre giornalista culturale in Spagna.
Leggendo il suo romanzo, si viene catturati dalla descrizione accurata della città, del suo fermento culturale e dei continui cambiamenti a cui era soggetta in quegli anni, dovuto al crescente sviluppo economico. Come mai è stato così rigoroso nel riferire nomi di vie e palazzi, negozi e imprese? E’ forse Barcellona la vera protagonista del racconto?
Ti spiego: il libro prende spunto dalle mie memorie d’infanzia, e desideravo ricostruire le storie che avevo udito da bambino. Volevo ricostruirle in parte con la memoria in parte con il materiale raccolto durante la carriera di scrittore adulto e giornalista, consapevole che la memoria infantile idealizza ed è necessario corredarla di prove certe. Ho beneficiato della documentazione attuale per descrivere i quartieri e le classi sociali: sono andato a informarmi nei bar, nelle radio, negli studi televisivi,documentando queste immagini che mi venivano dal passato. Desideravo omaggiare la mia infanzia, spiegando esattamente la vita dei negozi del centro di Barcellona che non esistono più, perché questo era il percorso che io facevo da piccolo ogni giorno da casa dei miei genitori a scuola. E’ come se da adulto mi fossi concesso il lusso di riattraversare il tunnel del tempo per ritrovarmi di nuovo con le gambe di un bimbo di sei anni e con la possibilità di guardarmi intorno mentre vado a scuola. Per ricordare com’era la rambla Catalunya, l’arteria principale del centro di Barcellona, ho parlato con le mie sorelle, le mie zie, con i commercianti della zona, e ho così scoperto che per esempio dove oggi c’è un negozio Benetton nel 1960 c’era un negozio di tappeti.
Il cambiamento quindi è un tema centrale: le cose cambiano con rapidità impressionante, quasi a supporre che nulla resta, tutto è effimero, un po’ come le vite dei suoi personaggi, che risultano fragili e in balìa degli eventi . Gli oggetti che li circondano, in continua evoluzione, riflettono le loro stesse esistenze?
Assolutamente sì. Ho creato un doppio gioco narrativo: da un lato ho usato la terza persona del presente,una tecnica che si usava molto nella narrativa degli anni ’50 e ’60 francese e italiana, perché ti regala una sensazione di immediatezza.. Questa terza persona singolare l’ho contrapposta agli strappi alla regola che la voce narrante si permette ogni tanto, facendo considerazioni su quale è stato il futuro non solo dei suoi personaggi ma anche della città, della società, come un narratore onnisciente, truffaldino,che passa dalla descrizione oggettiva del presente alla spiegazione di ciò che poi è successo nel 2013.
Il romanzo gira intorno all’avventura radiofonica del programma “Rinomicina ti cerca”, una sorta di “Chi l’ha visto?” via radio realmente esistito, che cercava di ricongiungere parenti separati da tragici eventi del destino, causati soprattutto dalla guerra. Per questo motivo il programma era malvisto dal regime, e la sua parabola esistenziale subì un brusco arresto. Si tratta forse di una metafora della finta libertà di cui godeva la Spagna di quegli anni?
Esatto. Devi sapere che il franchismo si distingue per due tappe: la prima inizia nel 1939, anno che segna la fine della Guerra Civile spagnola con la vittoria di Franco, e termina nel 1959 (un anno prima quindi di quando è ambientato il romanzo): si tratta di una fase di fascismo puro e duro, uno stato rigoroso con poche possibilità di libertà. Nel 1959 però comincia un’epoca di sviluppo economico grazie all’approvazione di alcune leggi, così che dal 1960 al 1975 (anno della morte di Franco) si inaugura la seconda fase, in cui dal fascismo si passa a uno stato autoritario ma liberalizzato,che genera una sensazione di maggior libertà in campi molto ampi della società. L’economia si mette in moto, la stampa si apre un poco alla libertà di espressione, arrivano turisti da tutto il mondo a influenzare il cambio dei costumi, e la gente inizia a divertirsi. Per questo ho deciso di ambientare il romanzo nel 1960, perché é un anno simbolico, per il passaggio da un’epoca all’altra, da una Spagna tradizionale, nera, dal cattolicesimo duro, la Spagna fascista, a una Spagna più moderna ma ancora dominata da uno stato autoritario. Ho inserito la storia di questo programma radiofonico proprio per spiegare le contraddizioni di quegli anni, che sono interessanti letterariamente perché la letteratura vive di contraddizioni. In più, è la mia infanzia, quindi per me era emotivamente importante.
Nel romanzo è presente la descrizione di un quartiere che stona con il resto della città, per il degrado e la povertà descritta, il Somorrostro. Oggi non esiste più, ma perché era così speciale?
Il Somorrostro era un quartiere affascinante e orribile allo stesso tempo, perché non aveva una struttura idrica adeguata, la qualità della vita era tremenda, la gente viveva in baracche sulla spiaggia; la zona era occupata per la metà da zingari e per l’altra metà da pescatori e immigrati. Un quartiere difficile ma molto allegro, perché gli zingari e la gente che vi abitava suonavano la chitarra, e le ragazze ballavano, e da lì è uscita la più brava ballerina di flamenco del ventesimo secolo, Carmen Amaya. Un quartiere anarchico, dove la gente era libera di fare ciò che voleva, che oggi si ricorda come leggendario in Barcellona. Uun posto che non aveva nulla a che vedere con la società borghese e lavoratrice del resto della città. Da piccolo avevo avuto l’occasione di andarci accompagnato mia madre, che si occupava di distribuire aiuti alimentari ai bisognosi; così oggi anche io conservo alcune immagini un po’ sbiadite di questo leggendario quartiere.
Tra i suoi protagonisti spicca la figura di Casimiro Pladevell, magnate dell’industria; è ispirato a persone realmente esistite?
Sì, Casimiro rappresenta il tipico industriale catalano senza ideologia, ma dotato di una grande capacità di adattarsi al terreno e di fare accordi: all’epoca erano tanti i personaggi di spicco di questo genere. Per Casimiro la vita è fatta di accordi, da stipulare per raggiungere i propri obiettivi. E’ senza dubbio la figura che mi interessava di più rappresentare, perché è contraddittoria, piena di sfaccettature: ben relazionata con il potere franchista di quegli anni, crede nella modernizzazione della società, ma al tempo stesso agisce con prudenza, per non mettere a repentaglio il proprio impero finanziario.
Crede che noi italiani riusciremo a capire e percepire l’atmosfera e il fermento della Barcellona di quegli anni attraverso le pagine del suo romanzo?
Non credo sia una storia locale, lo spirito del libro è universale, e in Italia credo che possa esser capito meglio che in altri posti perché in realtà gli anni 60 italiani e spagnoli si sono somigliati molto, con l’Italia davanti a noi perché era un paese più sviluppato e sofisticato. Basti pensare al cinema italiano di quegli anni, dominato da un’atmosfera che è abbastanza simile a quella spagnola dello stesso periodo, e che io descrivo; come esempio, “Il sorpasso” di Dino Risi, con Vittorio Gassman. Una famigliarità di atmosfera, in questa epoca fatta di contraddizioni, tra decapottabili e gente benvestita da un lato e contadini con l’asino al seguito che vanno a cercare l’acqua alla fonte dall’altro.
In mezzo a questo processo di trasformazione c’è Tona, una donna affascinante e ricca, ma profondamente triste. Un personaggio la cui malinconia stona con il benessere che la circonda; perché?
Tona rende manifesta la grande contraddizione di quegli anni: lei ha avuto tutto dalla vita, è bellissima, ricca, con un futuro luminoso; il destino però la spinge a sposarsi con una persona inadeguata, un mascalzone, e successivamente si ritrova ad essere una donna adultera. Oggi non succederebbe nulla, ma in quegli anni il codice penale spagnolo poteva incarcerare le donne fino a sei anni per un affair, pena inesistente nel caso degli uomini. Anche questa storia ha una base di verità e mi sembrava simmetrica all’altra storia raccontata: da un lato abbiamo il figlio di una famiglia di lavoratori che ha perso sua madre durante la guerra e vuole recuperarla, e dall’altro lato c’è una donna dell’alta borghesia che perde sua figlia a causa di motivi totalmente diversi; in entrambi i casi il contorno storico è decisamente rilevante per la personale situazione emotiva di ciascuno.