
Data di pubbl.: 2025
Traduttore: dall'arado Nabil Bey Salameh, dall'inglese Ginevra Bompiani ed Enrico Terrinoni
Pagine: 141
Prezzo: € 12,00
A Gaza anche i poeti danno voce con la loro testimonianza al genocidio di un popolo che sta accadendo sotto gli occhi indifferenti del mondo intero.
Nella striscia sotto le bombe israeliane ci sono poeti palestinesi che ogni giorno con le parole danno una testimonianza del sangue innocente che scorre.
Adesso queste voci in presa diretta sono state raccolte in un volume. Da Fazi esce Il loro grido è la mia voce. Poesie da Gaza (per ogni copia venduta saranno donati cinque euro a Emergency per le sue attività di assistenza sanitaria a Gaza), un volume che raccoglie trentadue poesie in gran parte scritte a Gaza dopo il 7 ottobre 2023, nella tragedia della guerra di Palestina, in condizioni di estrema precarietà.
Alcuni poeti sono sopravvissuti, altri sono morti sotto i bombardamenti. Resta come testamento il loro grido di disperazione e di sofferenza che diventa voce e appello.
«Scrivere poesia durante un genocidio dimostra ancora una volta il ruolo cruciale che la poesia svolge nella resistenza e nella residenza palestinesi. La consapevolezza con cui questi giovani poeti affrontano la possibilità di morire ogni ora eguaglia la loro umanità, che rimane intatta anche se circondati da una carneficina e da una distruzione di inimmaginabile portata». Così scrive nella prefazione Ilan Pappé per sottolineare come le poesie raccolte in questo libro aprono uno scorcio sulla sofferenza di un popolo di fronte al genocidio. Perché a Gaza è in atto un vero e proprio genocidio.
Nella prigione di Gaza la poesia è atto di resistenza e le parole dei poeti scavano tra le macerie. Leggiamole, prestando attenzione al loro grido che cerca la nostra voce.
«Leggete queste poesie – scrive il traduttore Nabil Bey Salameh – non solo con gli occhi, ma con l’anima. Ascoltate la loro musica, il loro ritmo sottile. Che siano per voi un ponte verso la comprensione, un inno alla dignità, e un ricordo che la bellezza, anche nelle situazioni difficili, può ancora fiorire».
I giovani poeti palestinesi scrivono poesia dall’assedio di Gaza con il sangue che sgorga: Heba Abu Nada (1991 – 2023) è stata uccisa da un bombardamento israeliano il 20 ottobre 2023. La sua poesia è una memoria che racconta la tragedia. «Non c’è tempo per grandi funerali e addii adeguati, / non c’è molto tempo: un razzo furioso sta arrivando, / ci accontenteremo di un bacio veloce sulla fronte, / e un addio rapido, aspettando la nuova morte. / Non c’è tempo per l’addio».
Dareen Tatour, poetessa e fotografa nata a Raineh, città araba in Israele, condannata per incitamento alla violenza da un tribunale israeliano scrive: «I vostri proiettili sono mortali /E nell’inchiostro della mia penna c’è vita / Le vostre armi saranno annientate / E la poesia rimarrà viva».
«Fare poesia da un campo profughi, da un luogo di sofferenza e abbandono, significa abitare nel cuore di un bambino dilaniato da una bomba e lì restare: senza né acqua né luce, imputati – come i martiri di Palestina – soffocati nella calca per un pezzo di pane. Fare poesia a Gaza vuol dire farla – nell’impossibilità di un luogo – in ogni luogo possibile».
Ecco in poche parole chiare e essenziali consa significa scrivere poesia a Gaza. Cosa vuol dire attraverso la poesia dare una voce a un grido. E noi leggendo questi poeti abbiamo il dovere di ascoltare.
Hend Joudah, Ni’ ma Hassan, Yousef Elqedra, Ali Abukhattab, Dareen Tatour, Marwan Makhoul, Yahya Ashour, Heba Abu Nada, Haidar al – Ghazali, Refaat Alareer.
Leggete le loro poesie, fate sentire la loro voce che potrebbe non cambiare il mondo, ma potrebbe graffiare la sua vergogna.