Autore: David Hayden
Data di pubbl.: 2019
Casa Editrice: Safarà
Genere: letteratura contemporanea, Raccolta di racconti
Traduttore: Riccardo Duranti
Pagine: 194
Prezzo: € 16,50
David Hayden, scrittore esordiente, con la sua prima raccolta di racconti, Il buio a luci accese, pubblicata in Italia dalla casa editrice Safarà, riesce nel tentativo di sorprendere e mettere a soqquadro la testa del lettore. Siamo in presenza di una letteratura difficile da catalogare. Di fronte alla prosa ardita e magmatica dell’autore irlandese, i critici hanno evocato numi tutelari di peso assoluto, da Jorge Luis Borges a Samuel Beckett, passando per il cinema onirico di Andrej Tarkovskij, e ancora assonanze con grandi firme del panorama letterario contemporaneo: George Saunders, David Means, Mark Strand, senza dimenticare un padre della narrativa postmoderna americana, Donald Barthelme, forse il punto di riferimento più prossimo allo stile di Hayden. Inoltre, occorre rilevare la presenza di una vena surrealista, soprattutto nella resa di certe ambientazioni claustrofobiche, veri incubi a occhi spalancati. Su un piano filosofico e concettuale, poco importa si tratti di contagio volontario o involontario, è riscontrabile una filiazione sia dall’empirismo radicale, sia dalle teorie dell’indeterminazione quantistica. Infine, si registra un’aria di familiarità con lo sperimentalismo di cineasti epidermici quali Maya Deren e Stan Brakhage.
Il tempo nei racconti di Hayden si dilata, si contrae, sfuma oltre l’orizzonte della regolarità. Significativo è il paradosso di Sortita. Un impiegato fugge dal proprio ufficio, ma la sua discesa verticale, una specie di volo in picchiata all’esterno dell’edificio, sospende gli eventi anziché accelerarli. “Dopo qualche istante, ho notato che il suolo era più lontano di quanto mi sarei aspettato e anzi, come se non bastasse, pareva allontanarsi a una velocità superiore a quella con cui stavo cadendo”.
Una porosità inquietante caratterizza gli spazi. Le barriere tra fisico e mentale, se non sono già collassate, si assottigliano. L’instabilità dei fenomeni sfigura il volto della realtà. Il soggettivo frantuma ogni pretesa di oggettività e ci trascina con sé, in un vortice di epifanie fantasmagoriche. Ogni racconto è un microcosmo chiuso e concluso in sé, che riposa su leggi a sé stanti. Hayden manifesta un debito, nel suo rifiuto del rigore universalistico delle categorie normative, verso l’antikantismo di Philip K. Dick. E proprio Dick è il nome del protagonista dell’omonimo racconto, uomo “sepolto fino alla vita in una fredda spiaggia di ciottoli”. Un sentimento di disagio accompagna la lettura. “Da sinistra compaiono tre uomini, uniti per le braccia, non si guardano in faccia ma danzano a ellissi, le ginocchia flesse, e cadono in deliquio all’unisono”. Una visione che richiama Henri Matisse.
Hayden gioca con le fonti, incrocia e sovrappone materiale culturale di varia estrazione, lascia che il sedimento psichico o letterario affiori in superficie, concedendo massima libertà alle interazioni che ne derivano. I personaggi ballano sulla corda della bizzarria, le situazioni straripano di invenzioni che accentuano la mancanza, o forse l’eccesso, di senso. È un logos alieno. I contorni delle forme vacillano. Paura e meraviglia si alternano e si bilanciano. I dialoghi rammentano la tradizione del teatro dell’Assurdo. Non è distopia, non è fantascienza: Hayden riscrive e trasfigura il presente in periodi immaginifici, contigui alla poesia. Un gusto gotico, cupamente fiabesco, infiamma alcuni racconti. Hayden dipinge esseri alla deriva che, oltrepassata una radura e scavalcata una linea di roveti, cadono sotto i colpi ciechi di una scure (Smembrato). Altrove, gli uomini sono ridotti a mera funzione appetitiva, o, il che è tragicamente equivalente, a funzioni di una generale appetizione, si veda lo scambio delle parti nel farsesco Una mela in biblioteca. La mente errante de La casa dei ricordi, ansiosa di identificarsi con gli oggetti di una vita per non spegnersi nell’insignificanza, pare uscita da una sequenza lisergica di un film di Gaspar Noè. Nei racconti il fiabesco e il perturbante si intrecciano: un sole in perenne agonia, un vestito da ballo abitato da una persona svanita, due fantasmi arroccati in una villa sul mare, una cornacchia parlante, una mano magica da supereroe, il proprio ‘doppio’ incontrato al ristorante…
Lo scrittore abolisce le gerarchie tra i livelli di conoscenza. Ogni rappresentazione, che provenga dai recessi dell’inconscio o dalla dura scorza del reale, assume pari dignità sulla pagina. Verità e apparenza si compenetrano, i piani temporali si sfaldano: l’indecisione ontologica produce estraniamento. Il livellamento vale anche per le modalità espressive. Resoconti, sogni vigili, frammenti di conversazioni disseppelliti dall’oblio, registrazioni uditive e loop sensoriali: nulla è indegno di considerazione, nulla sfugge a un destino di testimonianza. In Dopo lo spettacolo, è interrogato il potere delle emozioni e delle percezioni. Ne Il gioco, una lezione universitaria è il pretesto per un’incursione nella complessa aleatorietà del linguaggio. In Lettura, un figlio e un padre, due figure traslucide, intraprendono un viaggio al termine, o all’origine, della finzione.
Hayden si avventura anche nei campi della satira sociale, a metà strada tra Kurt Vonnegut e Marco Ferreri. I minatori che in Fieno piangono incessantemente e inondano di lacrime le gallerie, mentre fuori domina una stagione siccitosa, ci lanciano un avvertimento in merito a imminenti, ormai attuali, catastrofi sociali, politiche e climatiche? “Dopo aver camminato quasi un’ora, Andy vede apparire davanti a sé una luce arancione. Ben presto si trova all’ingresso di un’ampia sala. Un migliaio di uomini se ne sta lì, in piedi o seduti, da soli o in capannelli, e tutti piangono a modo loro, secernendo una sostanza argentea che cola ai loro piedi: una grande orchestra sincopata di sofferenza su se stessa”. In Il pane spezzato il signore e la signora Hornsey ospitano un’allucinante cena dell’alta società. Di chi è quel corpo bruciato, squartato, servito “su un vassoio d’acciaio”? Solo il grottesco, suggerisce Hayden, può indicarci la strada obliterata che, una volta, conduceva al futuro. Natura e società affondano nella medesima indifferenza. L’ironia e lo scherzo sono gli unici registri efficaci nella disamina delle prassi individuali e collettive. E cosa dire di Ultima chiamata per gli antipatici, racconto impreziosito da un retrogusto kafkiano? I non-luoghi aeroportuali salvano da quell’inferno civile che, sartrianamente, è costituito dagli altri? Un cielo provvisorio è preferibile a una terra ostile?
Un posto a sé è occupato dal ‘libro’, ente dallo speciale statuto. Un anziano afferma che le buone letture (non la poesia, perché confonde!) apparecchiano un aldilà identico all’ultimo testo sfogliato; un banditore d’aste, in negazione del feticismo degli oggetti, rivela di amare esclusivamente le parole dei libri e non il loro involucro; in un racconto allegorico, lo Scoiattolo Scusa, alias Maximilian Liebowitz, sfodera una lezione di critica letteraria e di semiotica, insegnando ai suoi giovani discenti come si legge un libro illustrato; una bibliotecaria intuisce il valore delle parole, ponte tra i desideri della maschera solitaria che le è piombata davanti e un esterno infinitamente commestibile.
Darker with the lights on è stato tradotto in italiano da Riccardo Duranti. Un’impresa che crediamo sia stata impegnativa, non meno che divertente. Bella, d’ispirazione picassiana, la copertina curata dall’illustratrice Laura Pizzato. David Hayden, scrittore non per tutti, tra iperboli e fantasticherie del quotidiano, in queste venti short stories segnala il suo talento e le sue potenzialità. Il primo romanzo è in fase di stesura.