Libri al cinema: Trêve / Truce

Anche in un periodo di cessate il fuoco, gli Israeliani aspettano l’arrivo della Guerra. Fatali evidenze, l’unico orizzonte immaginabile. Dopo “War Movie” e “Tomorrow”, “Truce” termina la trilogia delle domande che legano gli Israeliani alla Guerra, attraverso la storia personale.

Secondo le dichiarazioni della regista, che abbiamo intervistato, “Israele è in realtà un paese in cui la guerra può scoppiare mentre sei nel traffico, un evento che sembra sia naturale che, al tempo stesso, può sorprendere i cittadini”. Truce è uno stato della mente; in cui si vive in un costante stato di allerta e ansia.

In questo film si mescolano il documentario e la finzione e vi è anche un’evoluzione documentaria, dovuta dal fatto che i protagonisti, i fratelli di Carmit Harash, crescono. Poi vi è un’evoluzione a livello di finzione, ossia il ritorno in Israele della regista che, se nel film torna a vivere nel suo luogo d’origine, nella realtà ciò non potrà succedere.

Questo film è la terza parte di una trilogia in cui la regista racconta la Guerra come parte della vita quotidiana; gli attori sono personaggi vicini a lei. È un film molto amaro, ma del resto la vita in Israele a livello esistenziale è molto dura. Alcuni cittadini hanno una grande senso di appartenenza al paese e così riescono a sopravvivere a questa situazione.

Abbiamo chiesto a Carmit Harash quale libro possa meglio raccontare la storia di questo conflitto e lei ci ha risposto che questo libro non è ancora stato scritto, perché ognuno vede la vicenda in maniera non obiettiva. I protagonisti del film e la regista scherzano sul fatto che questo potrebbe essere il primo film da cui nascerà un libro.

L’opera alterna immagini in bianco e nero ad altre a colori, così come le aveva ideate la regista. Paradossalmente, le immagini in bianco e nero risultano essere più calde, poiché sono state girate su pellicola Super 8. Ci sono scene in cui la guerra è raccontata attraverso riprese televisive e ad un certo punto il sonoro scompare; secondo Carmit Harash “quando si toglie il suono gli spettatori continuano a sentirlo e per comprendere un’esplosione non serve far sentire il rumore, perché si può immaginare.”

In Israele anche i bambini vivono nel terrore e la contraddizione di questo paese è data dal fatto che da una parte non si vogliono mandare i propri figli in guerra perché sono i propri bambini, mentre dall’altra ci si sente obbligati a farlo come cittadini.

La regista dichiara di aver sentito la necessità di raccontare una verità importante. Chi vive in Israele ha un’opinione politica che va ascoltata, è importante mostrare anche le persone normali, i non VIP. Tuttavia c’è speranza, Carmit dice: “Bisogna pensare in modo diverso e prima di tutto riconoscere il fatto che Israele si trova in Medio Oriente e non in Europa”. Ci vorrà del tempo per cambiare e alcuni spettatori francesi hanno dichiarato che anche l’Europa ha vissuto terribili guerre di religione che un giorno sono finite.

Per la realizzazione di un film così duro è stato fondamentale l’aiuto delle persone che più le stanno a cuore, è stato un sostegno artistico e politico. La realizzazione di quest’opera è nata da una necessità della regista. Carmit Harash dichiara tuttavia che due autori l’hanno influenzata moltissimo nella realizzazione di questo film: Shelomo ben Yehuda ibn Gevirol (Malaga, ca. 1020– Valencia, ca. 1058), un poeta, teologo e filosofo spagnolo ebreo della Spagna Islamica, e Hanoch Levin, il quale inizialmente si è dedicato alla poesia, per poi concentrarsi sul teatro. Diventato drammaturgo residente al Cameri Theatre a Tel Aviv, ha lavorato anche per Habimah, il teatro nazionale israeliano. Levin ha scritto circa 50 testi; il suo lavoro comprende commedie, tragedie e testi satirici. Ha ricevuto numerosi premi teatrali, sia in Israele che altrove, e i suoi lavori sono stati rappresentati in tutto il mondo. E’ morto nel 1999.

 

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