Autore: Sessi Frediano
Casa Editrice: Marsilio
Genere: romanzo-diario
Pagine: 150
Prezzo: 15,00
Di tanto in tanto sento il bisogno di leggere qualche pagina di testimonianze relative a storie di deportazione. Sono sempre memorie che le iniziative editoriali ci permettono di conoscere e che servono a rompere quel muro di silenzio che pare sgretolarsi solo in occasione del Giorno della Memoria. Frediano Sessi, scrittore studioso della Shoah e della Resistenza, in Elio, l’ultimo dei Giusti (Marsilio editore) ci racconta le vicende di un uomo che per proteggere e salvare la vita di alcuni feriti viene imprigionato, torturato e internato in campi di concentramento. Una storia questa di resistenza civile scoperta quasi per caso.
Elio Bartolozzi è un contadino toscano di vent’anni. Siamo nella primavera del 1944. A differenza di molti suoi coetanei Elio non si unisce alla resistenza e si dichiara fuori dalla contesa. Purtroppo viene coinvolto quando due partigiani feriti vengono portati nella sua cascina in seguito a uno scontro a fuoco con i fascisti. Elio, per salvarli, li carica su un carro agricolo trainato dai buoi e nella notte li conduce al sicuro. Al ritorno a casa però l’aspettano i nazifascisti che lo torturano per farlo parlare. Qualcuno – che lui conosce – ha fatto la spia. Da questo episodio di sacrificio personale ebbe inizio un lungo calvario che lo vide prima internato a Fossoli, poi a Bolzano-Gries e Mauthausen fino a finire nell’inferno di Gusen. La dura prigionia non lo piega e anche nel lager la sua condotta rimane coerente: si prodiga per aiutare chi può a sopravvivere. Nel giugno del 1945 riuscì a ritornare a casa, irriconoscibile, tanto era smagrito e malato. Lentamente riprende la sua vita in campagna e gli capita anche di incontrare spesso chi lo ha tradito e fatto deportare, ma sceglie di non denunciarlo. Poi piano piano tutti dimenticano il suo atto eroico.
Nel 1944 Elio ha vent’anni e la maggior parte dei cittadini italiani sono immersi nella cultura e nelle idee del fascismo.[…] Eppure, nel momento del bisogno, senza per questo sentirsi un combattente o un eroe, sceglie di esercitare la propria autonomia, al di sopra di tutte le costrizioni, per riconoscere nell’altro non un nemico da combattere o denunciare ma un essere umano da soccorrere”. Il lavoro di ricerca storica dell’autore ha portato a galla un caso nascosto perché dimenticato da molti. E anche alla sua morte, nel 2004, Elio non ricevette alcun riconoscimento, né lo status di partigiano né il nome su qualche lapide. Nessun rappresentante dell’Anpi (l’associazione dei partigiani) né dell’Aned (quella dei deportati) presenziò al suo funerale.
Come questa di Elio di storie nascoste sotto la polvere ce ne sono tante. Un uomo semplice, un buono, non un combattente nel senso più letterale del termine, ma tale da rischiare la pelle per salvare la vita ad altri uomini, in tal caso partigiani. Una storia mai sbandierata che Frediano Sessi ha scoperto da un diario scritto dallo stesso Bartolozzi “La mia vita prigioniera” tenuto celato quasi fosse una colpa la sua divulgazione, a lungo inedito. Confinata ad uno stretto ambito privato determina quella che Anna Bravo chiama “la solitudine del sopravvissuto nel mondo del ritorno” (pp.118). Un sopravvissuto che non ebbe menzioni né onori, emarginato da note associazioni. Per questo dobbiamo leggere queste vicende poco eclatanti che la ricerca storica di qualche studioso svela. Come riportato nella frase di Thomas Mann scelta dall’autore ad apertura “Questa storia poi è carica d’anni, è ormai coperta, come si suol dire dalla ruggine del tempo […]. Ma il carattere remoto di una storia non è forse più profondo, più completo e favoloso quanto più “prima” essa avvenne davvero?”.