Incontriamo per i nostri lettori Wilbur Smith il più famoso autore straniero più venduto in Italia. Dopo la pubblicazione de “Il Leone D’Oro”, il suo ultimo capolavoro, è venuto in Italia per presentare il suo romanzo. Gabriele Scandolaro lo ha intervistato per voi.
Signor Smith, “Il Leone d’Oro” si inserisce all’interno di una saga familiare. Cosa l’ha riportata a riprendere in mano personaggi di anni fa?
Nulla. I miei personaggi non sono andati da nessuna parte, sono stati sempre li per me. Mi piace variare e cambiare epoca andando da Thaita ai giorni nostri passare per l’antico Egitto ai pirati del diciottesimo secolo. Mi piace spaziare e muovermi su epoche diverse.
Nel suo romanzo ci sono due eroi principali un uomo e una donna guerriera. Lei pensa che il mondo abbia bisogno di eroi?
Il mondo ha sempre bisogno di eroi. Ci sono eroi in ogni dove dal calcio al cricket, in campo sportivo e culturale. Sono modelli di vita per noi, persone a cui ci ispiriamo per migliorarci, persone in grado di compiere grandi gesta, di renderci migliori.
Nel Leone d’Oro ci sono numerosi personaggi. Ce ne è uno in particolare a cui è particolarmente legato?
Sicuramente il protagonista, l’eroe. È un po’ il mio riflesso, per questo faccio di tutto per metterlo in condizione di uscire incolume dalle situazioni più rischiose o pericolose.
Judith è una eroina femminile molto particolare e decisa, è una guerriera piena di coraggio. Quali sono le caratteristiche che ritiene necessarie per descrivere un personaggio femminile?
Innanzitutto il coraggio come ha ben detto lei. Le donne sono coraggiose e forti e grazie a queste due virtù le donne sono fonte di ispirazione per l’uomo. Ho sempre ammirato le donne che svolgono la funzione di eroe non solo nella finzione letteraria ma anche nella vita reale.
Nel romanzo sono presenti due cattivi: il sultano e L’Avvoltoio ma mentre il primo sembra quasi redimersi inviando il protagonista da Judith il secondo è malvagio in toto. Ci potrebbe parlare di questo personaggio?
L’avvoltoio è un personaggio molto particolare proprio per la sua oscurità e malvagità che lo assorbono completamente. È molto difficile nella vita reale incontrare un personaggio simile, ovvero una persona che sia così oscura ma d’altronde è anche molto difficile imbattersi in qualcuno che assomigli al capitano Cortney, completamente buono e votato alla giustizia. La maggior parte delle persone sono una via di mezzo tra questi due estremi, fanno coesistere tranquillamente bene e male. Però per il mio romanzo mi sono divertito a creare due figure che fossero una l’opposto dell’altra perché ho trovato interessante lavorare su due estremi così complessi.
Volevo chiederle come mai l’Avvoltoio è un essere così mostruoso da dover portare addirittura una maschera?
Quando inizio a lavorare non creo dal nulla i miei personaggi. Sono già lì che mi aspettano, hanno una vita propria e io non so da dove vengano. All’inizio, quando avevo iniziato a parlare dell’Avvoltoio, era un cattivo come molti altri ce ne sono. Non malvagio, ma cattivo ed era anche un bell’uomo, di bell’aspetto. Ma c’è stata una evoluzione di questo personaggio. Mi viene in mente il passaggio finale quando Hal Courtney, affrontando la sua Nemesi, gli dice “tu sei bruciato una volta e sei tornato, ora brucerai per la seconda volta e la terza brucerai all’inferno”. L’odio ha trasformato l’avvoltoio da essere umano alla creatura mostruosa che è.
Nel suo articolo pubblicato presso “Il Corriere della Sera” lei parla di “muscoli dell’immaginazione”. Vorrei chiederle se potesse dirci quando ha ritenuto che questi “muscoli” fossero sufficientemente sviluppati.
Ho sempre scritto fin da bambino. I miei primi testi e racconti risalgono a quando andavo alle scuole elementari, anche se il mio primo vero e proprio racconto l’ho scritto quando avevo dieci anni. Nei miei testi giovanili ero sempre io il protagonista delle mie storie e anche adesso, anche se non parlo più in prima persona, cerco sempre di mettere qualcosa di mio nei protagonisti, immaginando di vivere io in prima persona le avventure a cui li “sottopongo”. Appena ho avuto l’occasione e mi sono sentito pronto per provare a pubblicare un libro l’ho fatto ed ero molto giovane anche se il mio primo lavoro fu rifiutato sia da editori africani che da quelli europei.
Pensa che mettere così tanto di se nei suoi libri l’abbia aiutata a raggiungere i favori del suo pubblico?
Penso di sì perché i miei primi tentativi letterari seri e le prime storie che ho scritto piacquero molto tanto da essere pubblicate in alcune riviste. Incoraggiato dal successo ho provato a scrivere un romanzo ma, come ho detto prima, non è andata bene. In effetti rileggendolo ora anche io mi rendo conto che era abbastanza pessimo per non dire terribile. Mescolavo passato con il presente personaggi. Il fatto di essermi lasciato incoraggiare dal mio successo iniziale mi aveva esaltato non poco. Pensai che sarei diventato famoso e quando ben trenta editori rifiutarono il mio scritto rimasi molto deluso. Cambiai tattica e decisi di non scrivere in prima persona ma di inserire molto di me nel protagonista ed è così che è nato “Il Destino del Leone”.
Lei ha affermato che questo romanzo chiude la saga dei Courtney. Quanto le costa abbandonare questi personaggi?
Che chiuda la saga è vero ma non ho intenzione di abbandonare in alcun modo i Courtney in modo definitivo. Ci sono ancora molti buchi da tappare, tante situazioni irrisolte, molte cose ancora da chiarire e da raccontare. Ho un legame speciale con i Courtney, come lei sa anche mio nonno si chiamava Courney di cognome, quindi per me sono come dei parenti, ho un legame personale con loro. Li conosco tutti e li apprezzo tutti con i loro difetti e i loro pregi
Sono rimasto molto affascinato dalla descrizione che fa nel suo libro dell’Etiopia e volevo chiederle se l’aveva visitata di persona e se davvero in Etiopia c’è davvero una leggenda che parla del Graal.
Sono stato in tutta l’Africa, l’ho girata in lungo e in largo e sì, sono stato anche in Etiopia. Ho anche letto tutti i romanzo di esploratori europei che hanno visitato le varie terre d’Africa, le loro impressioni e le loro annotazioni. Mi affascinava vedere come la loro mente funzionava, cosa pensavano e cosa credevano. Come lei ben saprà un tempo vi era l’idea che la terra fosse piatta e quindi che se ci si avventurasse troppo oltre certe terre e oltre certi mari si potesse cadere giù, nel vuoto cosmico. Anche andare oltre lo stretto di Gibilterra rappresentava un rischio e un pericolo per loro. Vi era anche la credenza che la luna e il sole fossero la stessa cosa, quindi che quando calava la sera il sole si “spegnesse” e che quello che risultava era la luna. Quanto alla sua domanda sul Graal…beh tutti siamo affascinati dal Graal. È il simbolo del cristianesimo per eccellenza e l’Etiopia, come L’Egitto, sono stati i primi due paesi a vedere la nascita del Cristianesimo e la sua diffusione quindi ho ritenuto importante ambientare qui la storia.
Dove trova l’ispirazione per i suoi romanzi?
Non so dove trovo l’ispirazione. Forse quando ero piccolo mia madre mi ha fatto cadere e ho battuto la testa e da allora ho il bernoccolo dello scrittore. Mia moglie, che mi corregge sempre, ritiene che io sia semplicemente un genio. Non lo so proprio come trovo l’ispirazione anche se leggo molto, praticamente tutto quello che ho in mano. Anche mia moglie è una grande lettrice e quello che legge me lo passa ben volentieri.
Cosa prova uno scrittore quando vede i propri personaggi che trovano vita sullo schermo?
Credo che ogni scrittore debba tapparsi gli occhi e correre il più lontano possibile da dove stanno proiettando il film. Non mi è ancora capitato di vedere un libro migliorare dopo aver conosciuto una trasposizione cinematografica. Come lei sa, molti miei libri sono diventati film e mi è capitato di trovarmi sul set dove sembrava che nessuno avesse mai letto la storia originale, ma si basavano solo sul copione. La cosa incredibile era che io stesso, che sono l’autore, ero totalmente superfluo in quello che succedeva.
Se lei fosse un giornalista, seduto qui al mio posto, che domanda farebbe a Wilbur Smith?
Penso che gli chiederei da dove vengono i suoi cattivi.
Ringrazio di cuore L’interprete Chiara Serafin senza la quale questa intervista non sarebbe stata possibile.
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