Avete presente quei ricettari classici, tramandati magari dalle nostre nonne, che ci indicano perfettamente tutti gli ingredienti e i passaggi da seguire per eseguire al meglio una ricetta? Bene, dimenticateli! Isabella Pedicini è tornata con Ricette umorali, il bis pronta a cambiare la nostra concezione della cucina. L’abbiamo incontrata a Casa CookBook, sezione del Salone Internazionale del Libro di Torino dedicata alla cucina, per approfondire i temi trattati nel suo nuovo libro.
Come mai hai deciso di legare la cucina all’umore?
Perché per me la cucina è un territorio sentimentale, dove si giocano tutte le dinamiche affettive: offrire qualcosa da mangiare è in sostanza un gesto d’affetto. Nella persona che cucina c’è sempre una connessione tra lo stato d’animo e il risultato del piatto: se sei allegra, il cibo ha una riuscita diversa rispetto a qualcuno che cucina essendo triste e questo appare evidente sia dalla parte di chi cucina sia dalla parte dei destinatari. I ricettari classici secondo me sono un po’ riduttivi, perchè ti dicono sempre per quante persone si può cucinarla, ma non ti dicono mai per che tipo di persone può essere cucinato; se devo cucinare per una persona malinconica o arrabbiata o euforica dovrò preparare ricette diverse. Per questo ho voluto specificare i vari umori nel mio libro.
Come mai le associ anche a delle figure geometriche?
Nel mio primo libro avevo suddiviso le ricette per umori e strumenti da cucina, qui ho voluto accostare la geometria solida e convenzionale con la geometria delle persone, cioè i vari sentimenti veicolati dalle persone che riescono a venire fuori attraverso il cibo.
Viaggiando all’estero, quali sono gli errori culinari con cui ti sei dovuta confrontare?
Mi ritengo una persona molto curiosa e mi piace assaggiare piatti nei vari paesi in cui ho viaggiato; trovo comunque molto esilarante la traduzione della cucina italiana all’estero, dove si può trovare la “pizza alla bolognese” o quella con i “Pepperoni”, che poi è con il salame piccante e senza peperoni. Quello che mi fa più sorridere è l’intransigenza di noi italiani, che esplode quando ci troviamo di fronte a della pasta scotta o usata come contorno accanto all’insalata. Per tante altre cose noi italiani siamo molto più duttili, mentre se ci toccano il cibo diventiamo proprio intransigenti.
Penso che il cibo abbia un grande valore simbolico e rappresenta la nostra identità, quindi quando qualcuno stravolge la nostra cucina è come se noi vedessimo minata la nostra identità. In più ha anche una grande componente emotiva ed è come se qualcuno facesse oltraggio a una persona a cui vogliamo bene.
Le tue ricette sono sempre molto originali. Come fai a crearle?
Per le mie ricette parto sempre dai ricettari tradizionali e poi cerco, allontanandomi dalla ricetta, di divagare durante la preparazione, arrivando a creare qualcosa di completamente nuovo e inatteso. Sono ricette che hanno sempre una base tradizionale, con tutti gli ingredienti e le dosi, a cui io aggiungo i miei ingredienti che sono altre forme di nutrimento, come suggestioni, emozioni e rimandi a musica e letteratura. Nella preparazione cerco di mescolare tutto insieme e il risultato non sarà mai qualcosa che si può trovare in un ricettario tradizionale.
Cosa vorresti lasciare ai tuoi lettori?
Vorrei lasciare un approccio libero e creativo al cibo, non solo da parte di chi lo fa ma anche da quella di chi lo riceve, senza nessun aspetto chiuso tipico dei ricettari tradizionali. Vorrei portare il lettore attraverso il racconto degli aspetti simbolici che il cibo ha al suo interno, ma vorrei che lo facesse sempre come un gioco, con tanta ironia verso l’intransigenza e le varie mode alimentari, ma anche con tanta autoironia.
Vuoi lasciare un messaggio a tutti i nostri lettori?
Voglio dire ai lettori di non perdere mai il gusto delle cose, della vita e il gusto di mangiare e, soprattutto, di mangiare bene.