A tu per tu con… Alex Corlazzoli

Alex Corlazzoli è uno scrittore, un giornalista ed un attivista sociale. Collabora con «il Fatto Quotidiano», dove tiene anche un seguitissimo blog, e «Altreconomia», ha operato come volontario in carcere per dieci anni e ha fondato il giornale «Uomini Liberi»; è anche fondatore dell’associazione L’Aquilone che si occupa di integrazione di migranti, ma oggi, prima di tutto, Alex è un maestro di provincia precario che quotidianamente si batte per una scuola che accusa colpi, vacilla, si piega, ma inesorabilmente resiste. “La scuola che resiste” è proprio il titolo del suo ultimo libro; un titolo altamente denunciante certo, ma che contiene un profondo senso di non resa, perché l’infaticabile maestro Alex, rispondendo prima alla sua coscienza che a qualsiasi programma, insegna tutti i giorni ai suoi alunni la libertà, la democrazia, la giustizia, il dovere di protesta e il terribile “vizio della memoria”.

Anche a noi sarebbe piaciuto stare fra le fila dei suoi piccoli alunni durante una delle sue interessanti ed originali lezioni, ma ci siamo “accontentati” di fargli qualche domanda, ecco le risposte.

“La scuola è l’unico luogo dal quale passiamo tutti: chi per poco tempo, chi solo perché è obbligatoria. Qualcuno se ne innamora, impara ad imparare, decide di dedicarci la vita. Altri non vedono l’ora di scappare.”

Ci racconta la sua scuola, la scuola vissuta da alunno e la scuola vissuta da insegnante?

La maestra Teresa, a cui ho dedicato il mio primo libro “Riprendiamoci la scuola” e un capitolo de “La scuola che resiste”, è con il prete della mia parrocchia, la principale responsabile o “colpevole” di come sono fatto oggi. Quella scuola era aperta al mondo: la maestra Teresa mi aveva parlato così tanto del Mozambico dove suo nipote era missionario che una volta diventato maggiorenne, il primo viaggio che feci fu proprio in Africa da suo nipote. Da allora non ho smesso di viaggiare. Era la scuola dove ogni sabato la maestra ci raccontava “Cipì” di Mario Lodi: è lì che ho conosciuto il maestro per eccellenza che da una piccola classe della pianura cremonese aveva dato vita ad una rivoluzione pedagogica. Purtroppo era anche una scuola dove non si insegnava l’inglese, nonostante fossimo già negli anni 80; dove si pregava ancora all’inizio delle lezioni ma non si parlava di educazione sessuale. Vista dall’altra parte, da quella dell’insegnate, la scuola oggi è un’opportunità per cambiare la storia. Te ne accorgi ogni giorno quando stai in aula. Quel “La storia siamo noi” cantato da Francesco De Gregori puoi scegliere di praticarlo o di lasciarlo fuori dalla scuola. Hai davanti dei piccoli cittadini e sai che tu come insegnante puoi indicare loro una o l’altra strada. Oggi fare l’insegnate è essere partigiani. Scegliere di stare dalla parte dell’educazione, contro l’indifferenza. Scegliere di stare dalla parte dei bambini, della Costituzione, della memoria. Scegliere di essere contro la burocrazia e l’omologazione che stanno distruggendo la scuola, togliendo la passione a chi ha il compito di insegnare.

Cosa significa essere un maestro precario, un “maestro giostraio”,  come si definisce.

Quando l’8 di giugno, suona l’ultima campanella e hai fatto gli ultimi gavettoni con i tuoi alunni, torni in aula, abbassi la tapparella, riprendi tutte le tue cose e te ne vai senza sapere se l’anno prossimo rivedrai Nicole, Jessica, Dennis, Gian Luca, Marco e tutti gli altri. Da quel momento sei solo un numero. Un disoccupato. A nessuno interessa più quello che tu sei stato per quei ragazzi, quello che hai fatto per riuscire a fare un viaggio d’istruzione interessante. Nemmeno ai genitori che pensano già alle vacanze. Questo è essere precario. Proprio come un giostraio: arrivi in un paese, monti la tua giostra, fai divertire i bambini, conosci il sindaco, il prete, le mamme e i papà e poi finita la sagra te ne vai. E chissà se l’anno prossimo la giostra ritornerà.

Gli ultimi drammatici fatti di cronaca ci parlano di una scuola che può anche uccidere, come è successo al maestro Carmine che, dopo una vita di precariato e, forse, con la certezza di non poter cambiare il suo status, ha  scelto di smettere di resistere. Cosa ne pensa ?

Quello che ha fatto Carmine, in tanti l’hanno pensato prima di lui. Quell’uomo ha solo avuto il coraggio di dire basta. Basta ad avere la propria dignità calpestata. Il Ministero della Pubblica istruzione sta uccidendo da tempo i suoi uomini e le sue donne migliori perché si può ammazzare anche con l’indifferenza. Nessuno di noi viene ascoltato. La gente è disperata: scrive lettere al Ministero, al Presidente della Repubblica, organizza manifestazioni ogni settimana. Siamo arrivati al punto che nella scuola pubblica i docenti attuano una sorta di sciopero bianco per farsi sentire. Dall’istituto Gonzaga di Castiglione delle Stiviere al liceo Minghetti a Bologna, a Roma hanno sospeso i colloqui settimanali con i genitori, i viaggi d’istruzione, la partecipazione alle commissioni. Ma nessuna risposta sembra arrivare dalle istituzioni: siamo di fronte ad un muro di gomma.

Il reclutamento del personale scolastico nella scuola pubblica. Approfittiamo della sua formazione giornalistica e le chiediamo la cronaca di una “giornata tipo” al provveditorato quando viene assegnato l’incarico.

E’ il grande meeting del precario. Si consuma ogni anno a fine agosto o all’inizio del mese di settembre, com’è avvenuto quest’anno. Siamo chiamati tutti insieme a scegliere il nostro futuro. Arrivano precari da tutt’Italia: Napoli, Salerno, Bari, Palermo. C’è chi si presenta con la valigia in mano e famiglia al seguito. Chi manda il marito con tanto di delega. Chi arriva con una cartina  senza neanche immaginare in quale paese sarà destinato. E’ in quel momento che inizia a pensare “Come farò ad arrivare a Ricengo senza una macchina. Non c’è una stazione. Gli autobus sono pochi”. Sei solo un numero: 124. Attendi il tuo momento guardando il tuo collega come se fosse un nemico: potrebbe rubarti proprio quel posto al quale tu ambisci, quello dov’eri lo scorso anno e dove potresti assicurare tra l’altro un minimo di continuità ai tuoi alunni. E’ la guerra dei poveri.

La scuola pubblica italiana è sicuramente un’inesauribile fonte di criticità. Quale aspetto le preme in particolare sottolineare?

L’elenco delle criticità sarebbe lungo, dalla scarsa preparazione in inglese alla carenza di una didattica 2.0 in un mondo dove chi è nato nel 2000 è cresciuto con Ipad e Iphone alla mano. Ma ciò che mi preme è la totale assenza dell’insegnare la democrazia. Quando i miei bambini saranno grandi non si ricorderanno più gli ittiti e i babilonesi, ma sono certo che avranno bene in mente quella volta che siamo andati al Parlamento a Roma per capire cosa avviene là dentro. Sapranno chi sono Giovanni Falcone e Paolo Borsellino: le loro idee cammineranno anche sulle loro gambe perché il maestro a scuola ha parlato loro di questi due uomini. Noi dobbiamo aver presente che stiamo lavorando per avere domani non solo un dentista o un vigile ma un onesto medico che mi farà la fattura quando andrò da lui e un poliziotto non corrotto e sensibile verso i più deboli.

Le chiediamo un monito per ognuno dei principali attori del mondo scolastico (dirigenti scolastici,insegnanti, alunni, genitori) perché il bene pubblico della scuola venga preservato e possa progredire.

Ai dirigenti: imparate ad andare in direzione ostinata e contraria come cantava De Andrè. Senza paura.

Agli insegnanti: siate un po’ incoscienti. La santa incoscienza salverà la scuola dalla follia dell’omologazione.

Agli alunni: rompete sempre le scatole. Non siate mai indifferenti. Protestate. Viaggiate. Sono le quattro regole che insegno ogni anno ai miei ragazzi.

Ai genitori: passiamo dal voi all’imperativo del noi. La scuola si fa insieme. Insieme educhiamo i vostri figli. Insieme impariamo a insegnare loro una strada. Insieme sbagliamo.

Scuola privata e Scuola alternativa:  possibili scenari futuri nella nostra società?

Siamo di fronte alla possibilità che nei prossimi anni mamma e papà si organizzino sempre più per fare delle scuole parentali o libertarie, alternative alla pubblica. Non stiamo parlando delle scuole private intese come quelle delle suore o di chissà quale altro ente ma di scuole che vengono fatte a casa. Sono stato in una scuola libertaria a Bologna, il progetto “Saltafossi”, nato da un’ ex docente della scuola pubblica che fa lezione in una casa dove ogni giorno una ventina di famiglie mandano i loro figli. A Marzabotto, proprio nel luogo dell’eccidio nazifascista, un gruppo di famiglie ha organizzato in una jurta, una tenda mongola, la “Scuola dei bambini di Monte Sole”. Sono esperienze con le quali confrontarsi perché sono genitori che hanno scelto un’altra strada rispetto alla scuola statale non perché siano contrari alla pubblica ma perché la ritengono vecchia, ammuffita.

Nella sua esperienza professionale a scuola qual è l’insegnamento più grande che ha ricevuto e che ha dato?

A scuola ho imparato che io potevo cambiare il mondo, conquistando la libertà. Oggi quando vedo i miei ex allievi che mi scrivono sms o messaggi in facebook ricordandomi l’anniversario di Peppino Impastato, di Falcone e Borsellino o la giornata dell’Olocausto capisco che ho insegnato loro il vizio della memoria.

Leggi anche la nostra recensione de “La scuola che resiste” di Alex Corlazzoli

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