Salone del Libro 2014 – Homo faber extra: l’editoria artigiana di qualità

E’ Bruno Gambarotta, nome sicuramente noto agli affezionati di mamma Rai, a moderare l’intervento sugli editori artigiani in Italia. Io arrivo da una Sala Blu con persone sedute per terra (il sottoscritto) a godere delle giocose traduzioni di Hofstadter; trovarsi nella Sala Professionale con venti spettatori, compreso il personale di servizio, dà tutt’altro respiro. Ma non mi lascio scoraggiare.
Vincenzo Campo, Alberto Casiraghy e Afro Somenzari sono tre editori di case editrici medio piccole (rispettivamente Henry Beyle, Pulcinoelefante e Fuocofuochino). Inseriti in una fiera del libro che si spinge verso l’e-booking e al fianco dei mostri sacri dell’editoria nazionale, vien da chiedersi subito cosa li spinga ancora verso le anguste direzioni che hanno preso.

L’editore è qualcuno che non serve a nulla, e non si sa che lavoro faccia”. L’esordio di Campo fa capire subito la piega che prenderà l’incontro: nessun bestseller, nessun nome da botteghino, ma solo il piacere di poter stampare libri. Non potrebbe essere altrimenti per una casa che pubblica solo libri di autori defunti perché “gli editori laureati mi dicevano che i manoscritti erano una cosa terribile”. Editori per piacere. Casiraghy non è da meno: “quando un ragazzino viene da me e prendiamo in mano i caratteri del Bodoni, sento che in quei caratteri c’è qualcosa. E’ come prendere uno Stradivari per i violinisti”. Editori per passione. Somenzari chiude il cerchio: perché non tradurre in carta scritta i racconti di un anziano ospite della casa per cui lavora?, perché non far tramutare quel tentativo in qualcosa di piu’ grosso? Poco importa se i suoi libri non vengono venduti, e li regala soltanto agli amici. Ha provato a vedere se riusciva il miracolo, ed è riuscito. Editori per coraggio.

Certo, piccole case come queste, per sopravvivere, devono far fronte a problemi economici e “far quadrare il bilancio”. Ma di fronte alla domanda precisa di Gambarotta i tre, chi piu chi meno, svicolano (la Fuocofuochino anzi si fregia di essere la casa più povera del mondo), non dimenticando però di ringraziare l’IVA italiana sui libri al 4%. Per il resto si vede che non sono abituati al linguaggio dei diritti d’autore e delle percentuali, ma non è un problema. La piccola editoria italiana fa libri per piacere, per passione, per coraggio; il resto, lo lasciano agli altri. Qualità ad ogni costo. Le cose belle, per loro, sono “incontrare gli autori dei libri, coi quali condivido minestroni e copertine” (Casiraghy), cosa che alle grandi case spesso non succede; le cose belle sono “poter stampare da sé i libri che piu amano” (Campo). Sono “i poeti dell’editoria”, li definisce Gambarotta; si esprimono non con versi, ma facendo libri senza preoccupazioni. Ma quindi, ancora una domanda semivenale, come scelgono un catalogo? La risposta migliore la dà Somenzara: “l’unica linea guida è quella del gioco e dell’ironia”.
Vien da sé che le piccole case di qualità come queste si affidano al giorno d’oggi soprattutto ai racconti brevi, agli aforismi, a quello che può essere stampato rapidamente e senza sforzo; sulle grosse tirature, sui grossi volumi soccomberebbero di fronte ai colossi. Ma al confronto con le grandi case, in realtà, non pensano nemmeno.
E gli ebook? perché comprare un libro, pur bello, stampato, piuttosto che votarsi al futuro del libro elettronico? “La gioia di toccare la carta con la mano; il piacere di portare un aforisma stampato a cena da un amico, piuttosto che mostrarglielo sul cellulare”. Eppure riescono a non banalizzare: “Se stampi una poesia su una carta diventa più bella; ma se la poesia è brutta, diventa più brutta. Non è la tecnica che fa la bellezza”, dice Casiraghy, senza paraocchi. Chapeau.

Detto quindi del perché questo trio di editori stampino libri, è opportuno chiudere con la riflessione di Campo sul perché stampino libri. La spiega con una storiella, presa in prestito dalla penna di Anatole France, breve ma efficace. Descrive Ponzio Pilato, a fine vita, quando per strada incontra un vecchio amico. Si vedono, si riconoscono, ricordano il tempo comune passato in Giudea. “E la donna cosi affascinante, cosi bella che faceva impazzire? Maria Maddalena, la ricordi?”… No, Pilato non ricorda. Incredibile. Non ricorda nemmeno l’altro nome di cui l’amico chiede: Gesù.
L’amico di Pilato si; lui lega il ricordo di Gesù a Maria Maddalena, ed è soltanto tramite lei che se ne può ricordare. Pilato, invece, non ha nessuno da ricordare; perché non aveva nessuno da amare.
Ecco dunque perché si scrivono i libri. “Per riportare alla luce le cose che abbiamo amato”.

“Sono in mezzo a 3 matti”, aveva esordito Gambarotta all’inizio. Matti d’amore per i libri di cui si preoccupano, senza bisogno d’altro; questo è ciò che ha tenuto me e altri 50 spettatori (ho fatto benissimo a non farmi scoraggiare) a bocca aperta per tre quarti d’ora. Gran bella razza, questi editori artigiani.

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Sono un viaggiatore, sia con la testa che per davvero. Un vagabondo che sproloquia di chimica aspirando a conoscere tutte le lingue del mondo, per crearsi amici dappertutto e storie da raccontare attorno a un fuoco. Ma in realtà il mio piccolo mondo antico di Bizzarone è il posto piu’ bello del mondo, e la parola che preferisco è quella distesa sulla carta, con la tastiera a far da tramite tra il bailamme nella mia testa e il mondo là fuori. Nella mia stanza troverete di tutto, Hobsbawm e Walt Disney, Calvino e Paolo Villaggio; ogni libro ha qualcosa da dirmi e da insegnarmi, ha voglia di giocare con me e farmi sognare. La fantasia, qualche birra, la mia bici, la mia ragazza e i miei amici: sono il papero disastro piu’ ricco del mondo, come dovremmo sentirci tutti piu’ spesso. Se 5 righe sono troppe ditemi che la accorcio...

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