
Autore: Raffaele Di Stasio
Data di pubbl.: 2020
Casa Editrice: Caffèorchidea editore
Genere: Narrativa
Pagine: 199
Prezzo: € 15,00
Avevo diciassette anni il 23 novembre 1980, quando in Irpinia la terrà tremò e si portò via paesi interi,
Lo sentimmo forte anche noi in Puglia quel maledetto terremoto che ha aperto nella nostra storia ferite insanabili.
Furono giorni terribili, macerie dappertutto e persone distrutte. A quarant’anni da quella tragedia immane Raffaele Di Stasio, scrittore campano classe 1971, scrive un romanzo intenso e commovente che rievoca il dramma di una nazione intera.
Di Stasio aveva nove anni quel 23 novembre 1980 ma si documenta e scrive Non c’è più paese, un romanzo storico contemporaneo, aggiungerei anche politico, ambientato nell’Irpinia (ma anche nell’Italia) devastata dal terremoto.
Noi siamo perché ci raccontiamo, scrive Antonio Tabucchi ne Il piccolo Naviglio, e se riusciremo a raccontare la storia e le nostre storie, potremo sempre esistere.
Questa è l’operazione che porta avanti Di Stasio e con una scrittura intensa, poetica, evocativa e precisa ci consegna un romanzo civile che a pieno titolo entra a far parte della nostra memoria collettiva.
Sant’Angelo dei Lombardi fu il paese che pagò un conto salato quella maledetta notte del 23 novembre 80. Infatti fu completamente cancellato dalla furia sismica.
Giannino, il protagonista del libro, è originario di Sant’Angelo, vive a Napoli dove lavora. Appena apprende che il suo paese è stato spazzato via si mette in macchina e lo raggiunge.
Al suo arrivo trova macerie, sopravvissuti e tantissimi morti.
Giannino si aggira tra le macerie, avverte uno smarrimento totale, quasi ossessionato dalla distruzione che lo circonda e assalito dalla nostalgia dei suoi luoghi che non ci sono più, attraversa la morte della sua terra ormai desolata.
Di Stasio ricostruisce nel romanzo anche lo scenario politico – istituzionale dell’epoca e soprattutto punta il dito. Mette in evidenza il ritardo dello Stato nei soccorsi, le chiacchiere e i litigi inutili tra i partiti e soprattutto ricostruisce nei minimi dettagli il dramma di un’Irpinia lasciata completamente sola davanti ai suoi morti.
Giannino con i brividi addosso che gli attraversano la carne vive quelle notti fredde accanto alla sua gente ferita a morte dal terremoto.
Nulla sarà come prima, il paese è morto, come se fosse morta per sempre anche l’irrisolta questione meridionale, metafora per leggere e affrontare la questione italiana.
Al di là dei margini del dolore, il suo paese lo cerca e lo chiama, addosso solo rabbia e ogni altra cattiva speranza.
«Siamo un paese infelice, aveva detto Giannino, e mentre il giorno schiariva le macerie di San Rocco sotto la neve, aveva sentito un dolore dispiegarsi dentro di sé, toccare una radice insondabile e protendersi ancora, fino ad avvolgere l’inutilità del suo tempo passato e venturo».
Sotto le macerie di Sant’Angelo dei Lombardi è finita anche la memoria e in quella città morta, e in tutte le altre rase al suolo, dell’uomo non è rimasto niente.
Anche il passato fu sepolto quella maledetta notte del 23 novembre 1980.
Il paese che non c’è più segna profondamente Giannino che si trova a camminare anche tra le macerie della memoria cercando di riannodare i fili.
Davanti allo spettro deforme di Sant’Angelo, immagine reale della catastrofe.
«Invece era mutato tutto, gli uomini, le case, le strade. Ogni cosa si era rovesciata nella propria morte. Una morte così radicale che il paese era svanito, e Giannino senza più un passato che l’avesse unito a ciò che continuava a essere la sua esistenza, non avrebbe potuto, in realtà, né andarsene né tornare, non avrebbe potuto vivere, sarebbe solo diventato sempre più debole e stanco, né avrebbe potuto lasciare a qualcun altro la sua storia, la sua memoria, la vita d’amore che lui stesso era stato».
Non c’è più paese è un romanzo che vale una testimonianza e queste pagine abbiamo il dovere dei leggerle perché il 23 novembre 1980 appartiene alla storia di noi tutti, e questo non è poco.
Consigliamo la lettura di questo libro a Ciriaco De Mita, lui sa perché.