
Autore: Massobrio Giulio
Casa Editrice: Bompiani editore
Genere: giallo
Pagine: 286
Prezzo: 15.00 €
Siamo nell’estate del 1963. La zona dell’alessandrino, e in particolare la Val Borbera, viene scossa dall’omicidio di una maglierista. Ad indagare è il commissario Piazzi, lo stesso fortunato protagonista di Occhi Chiusi, che scoprirà presto che tutto ruota intorno all’eredità dei Santi.
A quei pochi che, come me, si lasceranno fuorviare dal gioco di parole insito nel cognome, apparirà chiaro presto (e non svelo quindi nulla) che la famiglia Santi è tutt’altro che virtuosa. Non è affatto vero che “I Santi proteggono i Santi”, una litania che compare spesso fra le pagine. Ognuno dei parenti porta addosso rancori, gelosie e invidie che ne farebbero tranquillamente un potenziale assassino. Piazzi indaga con pazienza, con calma, noncurante delle pressioni dei suoi superiori che vorrebbero sbrigare in fretta il caso anche insabbiandolo, se necessario; a metà tra il poliziotto e lo psicologo, cerca di capire, di conoscere i suoi antagonisti e di coinvolgere i suoi uomini. Non è il commissario solo e fumoso, isolato dal mondo, al contrario, ha dei collaboratori disegnati con tinte umoristiche e colorite, che rischiano la vita per lui, ha una donna, ha degli amici. E’ un “uomo di pianura” gettato fra le gole e i boschi di una zona che fa da cornice perfetta a tutta la storia, intricata come la valle stessa.
“Bisogna averle viste, le strette, per crederci. Il torrente Borbera che scorre in basso, compresso in un canyon di pietra e boschi; la montagna che,come un’immensa mano, si protende fino a tuffarsi in acqua. un monte duro, come la gente del posto.”
Piazzi è una persona comune, che sa ridere ma anche diventare inflessibile, che si lascia andare a qualche dormita di troppo e non disdegna un coniglio in umido, e il lettore lo prende in simpatia e si identifica totalmente col suo punto di vista. Quando pensa che un’indiziata sia assolutamente incapace di aver commesso l’omicidio, è la conclusione a cui arriviamo anche noi; quando torna sui suoi passi, e la riconsidera, viene spontaneo dargli ragione. Il tutto immerso in un libro scritto abilmente usando il presente, cosa che lascia “l’ignoranza del futuro” a strozzare il respiro del lettore. Voltandosi, si riesce a intravedere solo il passato, che affonda le radici nel fascismo e nei racconti dei partigiani e, che invece di tranquillizzare, ha l’effetto di spingere, col suo pesante carico di sangue, il lettore a tornare di nuovo verso il presente e lo sconosciuto domani. L’eredità che Clelia Santi lascia con la sua morte, dunque, non è solo un mucchio di quattrini conteso ai due lati dell’Oceano, ma è soprattutto un caso intricato regalato al commissario, che lo affronta in un crescendo di indizi, intuizioni e altri accadimenti paralleli che prenderanno forma e corpo soltanto alla fine.
Unica deviazione, a mio avviso, è il modo in cui si deduce chi siano i colpevoli, in un turbinio di azioni molto scenografico ma agli occhi del lettore scostato dal principio di causa-effetto che lega tutto il libro e che lascia invece un grosso spazio all’intuito del commissario. Probabilmente è anche per questo che Piazzi è uno stimato professionista del crimine, e noi solo dei semplici lettori che pendono dalle sue labbra senza batter ciglio e senza riuscire a pensare ad altro per tutta la durata del giallo.