L’ElzeMìro – Titoli meriti e onori


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                                                                   Anonimo – 0_=

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Caro Professore, lei non mi ha insegnato, mi ha cambiato il modo di imparare, dunque la vita…

Caro Professore, non potevo immaginare che lei potesse leggermi nel profondo e con tanta…

Caro professore, non so dirle come mi sento ma tutto quello che sono lo devo a lei, dunque…

(…) Io spero soltanto di riuscire con i miei allievi come lei è riuscito con noi, almeno un po’…

Caro Professore, potrei dire caro amico adesso che si può, la ringrazio per tutto quello che…

(…) Sono certa che porterò sempre le sue parole nel mio cuore…

Beata beota, fu il pensierino infantile dell’anziano professore ***. Depose l’ultima delle tante lettere sul tavoluccio di cucina, smosse nelle pantofole strapugnente le dita dei piedi intorpidite, versò tutto il caffè rimasto nella moka per otto, da questa alla sua tazzona da bosco e da riviera, l’unica; trincò il liquido ormai tiepido con la voluttà che deriva dall’amaro. Depose la tazza vuota e in quel momento stesso ebbe il sospetto, sostenuto dall’imprevedibilità della sensazione, che tutte le attestazioni, dichiarazioni, parole d’amore, intenti manifesti e sotterranei di altri, occulti o incompresi, non fossero altro che il prodotto di un inganno, persino patologico. In sostanza che nessuno aveva salvato o cambiato nessuno, men che meno lui. Gli venne in mente Socrate e si suggerì che per parte sua non poteva far altro che lasciarsi uccidere. Lui dalla propria, pure non credeva di aver saputo né insegnato qualcosa. Gli parve che una vanità avesse alimentato la professione; la melodrammatica messe di messaggini e letterine che nel tempo aveva collezionato e di cui per sua stessa ammissione si era compiaciuto, non era dovuta ad altro che a un’illusione di cui era riuscito a convincere sangue innocente, innocente poi non tanto, non poco; una giostrina di specchi. Nessun merito, nessuna infamia, niente; questo pensiero si approssimava al suo cielo come una nuvola fa volando nel proprio; stava capendo, o così gli sembrava, le nuvole dopotutto hanno qualche importanza. Così la certezza dell’inganno, il frammento chiave di essa, andò a combaciare e ad incollarsi da sé con il resto dei cocci nell’archeologia della sua memoria, ricomponendo per sempre il vaso del suo vuoto.

L’anziano professore uscì sul terrazzino del suo asiluccio da pensionato immiserito e persino senza un cane; era libero, e dal suo vuoto si slanciò nel vuoto del quinto piano. Pensò qualcosa, ma il pensiero fu meno rapido del volo.

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Vittorio de SicaUmberto D. https://www.youtube.com/watch?v=m34a_Roe6OM

Ivan GončarovOblomov – Einaudi

 Pietro Metastasio,Egidio Romualdo Duni – in Giuseppe riconosciuto ➠  Se a ciascun l’interno affanno ➠ min. 13:55  https://www.youtube.com/watch?v=wWzELk_3Nug

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Pasquale D'Ascola

Pasquale Edgardo Giuseppe D'Ascola, già insegnante al Conservatorio di Milàno della materia teatrale che in sé pare segnali l’impermanente, alla sorda anagrafe lombarda ei fu, piccino, come di stringhe e cravatta in carcere, privato dell’apostrofo (e non di rado lo chiamano accento); col tempo di questa privazione egli ha fatto radice e desinenza della propria forzata quanto desiderata eteronimìa; avere troppe origini per adattarsi a una sola è un dato, un vezzo non si escluda un male, si assomiglia a chi alla fine, più che a Racine a un Déraciné, sradicato; l’aggettivo è dolente ma non abbastanza da impedire il ritrovarsi del soggetto a suo Bell’agio proprio ‘tra monti sorgenti dall’acque ed elevate al cielo cime ineguali’, là dove non nacque Venere ma Ei fu Manzoni. Macari a motivo di ciò o, alla Cioran, con la tentazione di esistere, egli scrive; per dirla alla lombarda l’è chel lì.

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