La canzone del bambino scomparso – Giovanni Pannacci

Autore: Giovanni Pannacci

Titolo: La canzone del bambino scomparso

Casa Editrice: Giulio Perrone Editore

Numero di pagine: 248

Anno di pubblicazione: 2012

Prezzo: € 15,00 

“Le cose belle si trasformano, originano combinazioni ogni volta diverse, si cercano per creare nuove conseguenze, per dare dinamismo alla vita. Le cose brutte, invece, se ne stanno inerti a marcire per sempre, non si dissolvono né si evolvono e rischi di non liberartene mai. Susanna doveva liberarsi del suo dolore”. 

Anni ’70. In un paesino della provincia italiana pieno di pregiudizi e di falsi perbenismi Vincenzo sogna di trasferirsi in città e di poter lavorare nel mondo dello spettacolo. Gli piace cantare e ballare. Ha una passione per la Carrà e i personaggi della TV. Il padre, un uomo violento con il vizio dell’alcool, non approva affatto queste passioni del figlio  e tenta in ogni modo di punirlo per la sua diversità dagli altri coetanei. La madre, vittima delle violenze del marito, è troppo debole per aiutarlo. Boris  è il bullo del paese. Susanna una ragazzina di città che durante le vacanze in provincia vanta l’indipendenza e le infinite opportunità di chi vive in città. Tra i tre ragazzini nasce una profonda amicizia, un’amicizia tuttavia non ostentata, segreta piuttosto, semplice e profonda che li rende complici, nel bene e nel male, per tutta la vita. Vincenzo convince Susanna a portarlo con sé in città di nascosto dai genitori ma, forse, in quella città che tanto ha sognato non arriverà mai. A Susanna resterà per sempre il ricordo di quella canzone che Vincenzo cantava quando lo vide per l’ultima volta a rammentargli, come un’ossessione, un passato che lei, ormai diventata un personaggio della TV, vuole rinnegare a tutti i costi.

Impotenza, rabbia, angoscia sono le sensazioni che assalgono chi legge questo romanzo sin dalle prime pagine, perché anche quando qualcosa di positivo accade, anche quando la gioia prevale sul pessimismo, in questo romanzo, bellissimo ma crudele, si ha sempre la sensazione che qualcosa di brutto stia per accadere, che quella felicità sia solo una sensazione effimera e passeggera. C’è rassegnazione agli eventi piuttosto, ad un destino che non può che essere malvagio ed inevitabile.

Ci sono diverse chiavi di lettura di questo romanzo e molto lo si capisce quando si arriva all’ultima pagina. La prima sensazione  è quella di trovarsi di fronte ad un romanzo di formazione: si narra del percorso di crescita di tre ragazzini, apparentemente molto diversi tra loro, ciascuno tuttavia problematico e disadattato. Vincenzo vive in una realtà chiusa e bigotta che non gli appartiene e che non lo comprende; Boris è  costretto dalla realtà in cui vive a svolgere il ruolo del bullo ed è in qualche modo il prodotto della mentalità ristretta e culturalmente ignorante in cui vive: odia il progresso, teme l’integrazione e il diverso da sé. Susanna nasconde dietro l’indipendenza e l’esuberanza che sfoggia in provincia il fatto di essere cresciuta senza un padre e di avere una madre dalla dubbia moralità.

Il romanzo racconta anche un pezzo di storia della società italiana dagli anni ’70 ai giorni nostri attraverso la storia di tre ragazzini; racconta di una società che da contadina diventa industriale e poi la fine di un sogno. Vincenzo vede nella città tutto il bene possibile: per lui è il luogo dove i sogni diventano realtà. Il mondo dello spettacolo come lo vede lui è quello di Mina, della Carrà, dei varietà del sabato sera  e di tutte quelle persone di talento che hanno raggiunto la notorietà per merito. Singolare che quel mondo di professionalità e di talento si trasformi invece in quello delle TV private, fatto di conduttori falsi e opportunisti tra cui un tipo che  promette all’ormai famosa conduttrice Susanna di offrirle un posto al parlamento europeo.

I personaggi femminili sono crudeli, talvolta irritanti. Susanna pare il personaggio più crudele e più cinico di tutti. Certamente anche lei  è il prodotto del contesto  in cui ha vissuto  ma non ha alcuna possibilità di redenzione.  I personaggi maschili sono per contro i più puri, persino Boris che,  pur essendo un bullo, sa essere  anche affettuoso e leale. 

 

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Giovanna Capone

Non dirò di me che ho sempre amato leggere, che ho imparato a leggere prima del tempo e che ho trascorso la mia infanzia leggendo libri e neppure che ho amato molto le favole. Per apprezzare la lettura occorre che arrivi il momento giusto e che si abbia la mente sgombra da altri pensieri.Quando capisci che il momento giusto è arrivato? Quando incontri qualcuno che ti spiega che, a volte, non è importante quello che c'è scritto in un libro ma il modo in cui è stato scritto, quando sullo scaffale di una libreria la copertina di un libro attira la tua attenzione e capisci che quello sarà il tuo libro, quando sei curioso di sapere se un titolo accattivante nasconde una storia altrettanto brillante. Cosa significa leggere? Riscoprire qualcosa di te, qualcosa che hai sempre saputo ma che nessuno se non un grande scrittore è riuscito ad esprimere con le parole.

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