Intervista a Pierre Jourde

Pordenonelegge 2024 – Prehistorica Editore

Se su Google scrivete “Biografia Pierre Jourde” vi appaiono in contemporanea tre foto, di tre diversi Pierre Jourde: uno con barba e capelli grigi, uno con capelli neri e ciuffo ribelle, uno senza barba e senza capelli. Potrebbero essere i tre autori dei tre libri principali, attraverso i quali ho potuto conoscere un grande autore francese, una sorta di trinità letteraria, che i bravi ragazzi e ragazze di Prehistorica Editore, hanno portato sulle librerie di noi lettori italiani.

Uno e trino quindi, Pierre Jourde  è uno scrittore francese nato a Créteil nel 1955, ma la sua famiglia è originaria della remota regione dell’Alvernia, regione protagonista dei suoi romanzi Paese perduto, La Prima pietra e Il Tibet in tre semplici passi.  Voce importante, forte e decisa, della letteratura di Francia, con la quale si è espresso in varie forme, romanzi, saggi, poesia e altro ancora, con una scrittura piacevolissima, ma chiara e determinata. con il Prix Renaudot Des Lycéens, il Prix Jean Giono e il  Grand Prix De L’Académie Française, in Francia Pierre Jourde viene pubblicato da Gallimard.  

Ho conosciuto Pierre al Salone di Torino, a maggio di quest’anno, ed ora con mio grande onore, e carico di emozione, ho il piacere di poterlo intervistare qui a Pordenone, mia città natale.

C – Buon pomeriggio Pierre, e grazie della grande opportunità che mi concedi di parlare con te e, grazie agli amici Gianmaria e Giulia, di Prehistorica Editore. Io ti ho conosciuto leggendo “Paese perduto”, il tuo primo libro pubblicato in Italia, libro di grande fascino, romanzo che potremmo definire di viaggio, di avventura, familiare, e anche storico.
Il libro affronta temi forti, duri, la fatica di vivere, la durezza della quotidianità. Perché attraggono così tanto questi temi, perché il lettore vuole leggere di questi temi, e perché lo scrittore vuole raccontare queste vicende?

P – In realtà io non avrei voluto scriverne, non è una tematica che ritengo seducente, soprattutto perché è molto intima, ma ci sono state due circostanze determinanti che mi hanno portato, che mi hanno costretto a scrivere Paese perduto: due lutti mi hanno “trascinato” sulla pagina, quello di una giovane ragazza, vicenda che occupa una parte fondamentale del romanzo, e quello di mio padre.

Passando a “La prima pietra”, il passaggio narrativo, la questione o l’evento su cui si è concentrata maggiormente la mia attenzione, è lo scontro tra il protagonista e alcuni abitanti del paese perduto, personaggi alquanto aggressivi, provocatori che vanno a generare una vera e propria lotta fisica con conseguenze materiali e legali. Se poi pensiamo che si tratta di fatti realmente accaduti, l’attrazione si fa ancor più viva. Io da sempre vorrei dare il cartellino rosso non solo a chi reagisce ad una provocazione, ma anzi e soprattutto a chi provoca, perché nel provocatore alberga l’istinto a far male. Ma non giustifica comunque la reazione, soprattutto se smisurata. Cosa ne pensi di situazioni di questo tipo?
Io penso solo che la fortuna è stata la “vegliarda” che ha visto tutto e ha salvato il protagonista del romanzo che altrimenti si sarebbe chiuso molto più in fretta. Il cuore della vicenda è il fatto che la giustizia ha fatto il suo corso ma ciò che mi ha colpito di più è stato il lavoro vergognoso dei giornalisti: segnalare l’intellettuale che va contro i contadini, il sapiente che abbatte l’ignorante, il ricco contro il povero, mettiamola come vogliamo, quando invece ai giornalisti è scappato che tra i feriti c’era un bambino, e quindi sfugge il nocciolo della questione, ci si limita ad una cronaca spicciola e per di più falsata. I giornalisti sostengono la recita di un ruolo del contadino, che è quello che a loro interessa.

Continuo il mio viaggio dentro la tua scrittura Pierre, venendo a chiederti qualcosa sulla mia lettura più recente, forse meno impegnativa, ma densissima e altrettanto piacevole, “Il viaggio del divano letto”, cui starebbe bene aggiungere come sottotitolo, “mille storie in una storia”. Tu scrivi ad un certo punto che “L’autore è la prima vittima delle storie che scrive e racconta.” Io, partecipando ad un corso di scrittura anni orsono, sentii proclamare dal docente che bisognava stare molto attenti a scrivere, perché la scrittura può essere una buona terapia, validissima e utile, ma nello stesso tempo può anche far molto male.
Cosa ne pensa Pierre Jourde, che esperienza hai vissuto tu in questo senso?

La risposta è nello stesso tempo semplice e drastica: il protagonista del racconto è un sopravvissuto ad un massacro. Seconda cosa, ho scoperto mentre scrivevo di essere un mostro. Ecco perché quando scrivo metto sempre in scena dei mostri (e come diceva Borges lo scrittore deve essere tutti gli uomini, anche un mostro).


Ma ha mai scatenato in te la scrittura, lotte interiori, crisi, fatiche particolari?
Questo libro è stato il più facile, scritto con una sorta di allegria, gli altri no.
Bisogna fare attenzione però. C’è una cultura vittimista dello scrittore, devi aver subito chissà che cosa per scrivere. Io stesso sono stato traumatizzato da un piccolo fatto, ma tutto qua, niente di più, niente di eclatante.


Saggi, poesia, romanzi, fiction, tu ti sei espresso in varie modalità e lo fai tuttora. Qual è la forma che useresti se potessi usarne solo una?
Il romanzo, o meglio la poetica del romanzo, ma non nell’accezione più comune, non come linguaggio aulico, ma la poesia che può scaturire benissimo da una gestione particolare della narrazione e del tempo.


Sei uno scrittore più di progetto, o più spontaneo, ciò che arriva arriva.
Ho un’idea generale ma soprattutto nei lavori più grandi lunghi, ci vogliono dei paletti, un minimo di struttura. Romanzi molto meditati dal punto divista della costruzione, che quindi necessitano di uno schema, pur con le dovute e necessarie modifiche in corso d’opera. Mi piace moltissimo depistare il lettore, fare in modo che ogni tanto si perda. Il più bel complimento che ho ricevuto da un lettore infatti, riguarda il libro “L’ora e l’ombra”. Il lettore ha capito alla fine di essere stato fregato, ma non ha capito esattamente dove.


Sono finite le avventure in Alvernia?
Io ho dato, ma la stanno continuando a picchiarsi. So che la polizia ha dovuto sequestrare armi in una famiglia.


Cosa leggi di solito?

Plutarco. E sto finendo Balzac.

Grazie Pierre, grazie amici di Prehistorica. Continuate a scrivere e a pubblicare grande letteratura. E noi lettori cogliamo queste belle occasioni di arricchire noi stessi leggendo grandi autori!

Buona lettura a tutti.

Claudio Della Pietà

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