Titolo: Un eroe del nostro tempo
Autore: Michail Jur’evič Lermontov
Anno di pubblicazione: 1840
Edizione usata per la recensione: Einaudi 1998
Pubblicato nel 1840 dall’appena ventiseienne Lermontov, Un eroe del nostro tempo è l’unica opera in prosa di questo autore geniale la cui precoce morte ha consacrato nell’empireo dei poeti romantici.
Sebbene costituita da quadri narrativi potenzialmente indipendenti, l’opera si può definire a tutti gli effetti un romanzo in quanto ciascuna delle cinque parti, disposte secondo un ordine cronologico non lineare, dialoga efficacemente con le altre consentendo infine al lettore di ricostruire autonomamente una visione unitaria della vicenda narrata.
«La storia di un’anima umana»: così l’autore stesso ha definito la sua opera che vede protagonista Pečorin, ufficiale russo in servizio nel Caucaso, dapprima osservato dall’esterno attraverso gli occhi di personaggi da lui incontrati sul suo cammino, poi interamente svelato attraverso le parole del suo stesso diario. Un’anima, quella di Pečorin, dai tratti veramente eccezionali per sensibilità, ardore, intelligenza, ma mai pienamente soddisfatta, in una ricerca continua e insaziabile di un qualcosa che spezzi la monotonia dell’esistenza.
È questo dunque il nodo centrale del romanzo: la noia di Pečorin, protagonista inquieto quanto affascinante, che abilmente si destreggia tra le avventure galanti e i cui futili entusiasmi durano il tempo di una conquista. Pečorin è definito un eroe del nostro tempo, il tempo di Lermontov, della Russia postdecabrista e disillusa in cui solo gli scrittori si assumono il difficile compito di esprimere il dissenso verso l’assolutismo del potere zarista. «Per troppo tempo la gente è stata nutrita con dolciumi: per questo le si è rovinato lo stomaco. Sono necessarie medicine amare, pungenti verità»: così scrive Lermontov nell’introduzione al suo romanzo. E dunque la figura ambigua del protagonista è il “farmaco” di cui ci parla lo scrittore, allo stesso tempo medicina e veleno, che riunisce e denuncia i mali di un’intera società: «Un Eroe del Nostro Tempo, miei cari signori, è sì un ritratto, ma non di una sola persona: è il ritratto dei difetti di tutta la nostra generazione nel pieno del loro sviluppo».
Pečorin è dunque pienamente la figura dell’antieroe che, prendendo le mosse dall’Evgenij Onegin di Puškin, traghetta idealmente la letteratura russa verso la figura antieroica per eccellenza, il Raskolinkov dostoevskijano di Delitto e castigo. E dell’antieroe, ancora pienamente romantico, Pečorin ha i tutti i tratti: un’irrequietezza che non dà tregua, che lo spinge a perseguire obiettivi effimeri con il solo fine di evadere da quello stato di noia malinconica che offusca le sue giornate; un nichilismo privo di disperazione e quasi ironicamente compiaciuto; un narcisistico desiderio di potere e successo che si esplica in un controllo smisurato sulle vite altrui, di cui l’uomo dispone a suo piacimento. La conquista della donna amata diviene dunque un gioco freddamente intellettuale che rifiuta con sdegno di assumersi qualsiasi tipo di responsabilità: Pečorin assisterà infatti con indifferenza alla morte di Bela, prima conquistata con un astuto inganno e poi abbandonata a se stessa, e illuderà maliziosamente la principessina Mary, al centro delle sue attenzioni per il lasso breve di una stagione. Pečorin è un uomo dalle passioni vuote, che non ha più entusiasmo per le cose di questo mondo e sfida persino la morte. Morirà infatti fin troppo giovane, così come, paradossalmente, il suo autore, lasciando ai posteri solo alcune indimenticabili pagine di diario.
«Forse alcuni lettori vorranno sapere cosa penso di Pečorin? La mia risposta sta nel titolo di questo libro. “Ma è una perfida ironia” diranno. Non lo so.» (pag. 101).