Titolo: L’infanzia del mago
Autore: Herman Hesse
Prima edizione: 1923
Edizione usata per la recensione: Stampa Alternativa/Nuovi Equilibri (2013)
Accade talvolta che un’opera minore di un grande autore offra, paradossalmente, un punto di vista privilegiato per comprendere l’universo poetico dello scrittore stesso. È questo il caso de L’infanzia del mago di Herman Hesse, racconto poco noto che sembra fornire una interessante chiave di lettura per i più conosciuti romanzi dell’autore tedesco.
Scritto nel 1923, questo breve testo è al contempo una favola e un’autobiografia, termini generalmente antitetici che vengono qui curiosamente a sovrapporsi. In poco più di venti pagine l’io narrante (Herman Hesse? un suo alter ego?) rievoca la propria infanzia, non tanto nel succedersi di fatti ed eventi concreti, quanto piuttosto nella dimensione interiore della psicologia del bambino che gradualmente si affaccia alla vita ed entra in relazione con il mondo. Con una scrittura apparentemente semplice, quasi naïf, Hesse schiude al lettore l’orizzonte favoloso dell’infanzia attraverso una rievocazione appassionata che rende tangibili le atmosfere del passato. Così, a pennellate veloci, si concretizzano la casa di famiglia con le sue vecchie stanze e i fumosi sottoscala, la libreria del nonno piena di fascino e di mistero, gli armadi della mamma stipati di meravigliosi tessuti orientali, la baracca in giardino dove vivevano i conigli e il corvo addomesticato… Non è un’infanzia comune quella che ci viene raccontata, ce ne rendiamo conto fin dalla prima pagina: il rapporto del bambino con la realtà esterna si pone infatti al di fuori di una logica razionale, guidato da un’inconsapevole quanto spontanea capacità creativa.
«Come tutti i ragazzi, amavo e invidiavo alcuni mestieri: il cacciatore, il barcaiolo, il carrettiere, il funambolo, l’esploratore polare. Ma, più di tutto, avrei amato diventare un mago. Questa era la mia più intima, sentita inclinazione, una profonda insoddisfazione per quel che la gente chiamava “realtà” e che a volte mi appariva solo come una sciocca convenzione degli adulti; un certo rifiuto di questa realtà, ora timoroso, ora beffardo, mi fu presto familiare, così come l’ardente desiderio di stregarla, di trasformarla, di elevarla» (p. 12).
La magia muove i pensieri e le azioni del bambino che guarda al mondo con occhi limpidi, senza mediazioni. Gli oggetti sembrano prendere vita, assumono per il giovane mago forme e significati fantastici che si pongono al di fuori delle convenzioni universalmente concordate: «C’erano cose e nessi che esistevano solo in me stesso e per me stesso. Non c’era niente di più misterioso, di così poco comunicabile, di così al di fuori del concreto quotidiano di queste connessioni, eppure non c’era niente di più reale» (p. 20).
Questo sorprendente racconto è in qualche modo il “ritratto dell’artista da giovane” scritto da Herman Hesse, un’autobiografia fantastica che possiamo leggere più o meno in profondità senza che perda mai, ai nostri occhi, il suo incantato fascino. E se da una parte l’infanzia del mago ci appare bizzarra e favolosa, d’altro canto non possiamo non riconoscervi alcuni dei tratti che caratterizzano l’infanzia di ciascun essere umano: la capacità di immaginare, creare, entrare in una relazione felice con le cose del mondo. È proprio questa potenza creativa che gli adulti progressivamente perdono, dimenticano, abbandonando una volta per sempre il terreno della fantasia:
«Lentamente, sebbene continuassi ad anelarvi ancora con ardore, il mio desiderio di diventare un mago divenne, anche per me, privo di valore, una fanciullaggine. Qualcosa, in me, non apparteneva più all’infanzia. Il mondo del possibile, infinito, dai mille aspetti, si era ristretto, diviso in caselle, tagliato in compartimenti stagni. A poco a poco la foresta delle mie giornate subì una metamorfosi, intorno a me il paradiso si raggelò» (p.31)
Cos’è, infatti, l’età adulta se non l’età delle scelte, il momento in cui la vastità del possibile viene meno e la ragione impone alla fantasia la sua logica rigorosa? In questo senso, sembra affermare implicitamente l’autore, l’arte è forse ciò che più si avvicina alla dimensione magica dell’infanzia, la possibilità ultima che ha l’uomo adulto di trasfigurare felicemente la realtà.