A tu per tu con…Ilaria Bernardini

Entrare in casa di Ilaria Bernardini è un po’ come addentrarsi nel suo libro. E non solo fisicamente, ma con tutta l’anima.

Passo dopo passo, lo sguardo scruta alla ricerca di indizi, facendosi spazio tra oggetti, stanze e situazioni che, sì, coincidono alla perfezione con quelle raccontate in “Faremo Foresta” (Mondadori) – l’ultimo titolo dell’autrice, un romanzo memoir uscito lo scorso gennaio.

A casa di Ilaria, si respira davvero la vita di Anna, una donna che ha vissuto “semplicemente la fine dell’amore” con suo marito, e si è trovata all’improvviso a dover affrontare una vita spoglia, ma non vuota. Come una terra secca che ha bisogno di cura, per tornare a germogliare. Attenzione e dedizione, per tornare a fiorire.

Una storia già sentita da amiche, sorelle, vicine di casa. La storia di molte donne che oggi si trovano a dover affrontare la fine di un’epoca – quella da sposate e protagoniste di una vita stereotipatamente felice, e crearne una nuova: quella da FELICE punto e basta.

Un bimbo di quattro anni, una casa nuova, tante piante – secche. Un paio di tragedie accomunate dal tempismo del destino e una mamma, forte e (anche lei) single, che dalla figlia pretende dedizione alla vita e alla scrittura. Ma che qualche volta si rivela dolce, lasciando trasparire la forza delle “radici per volare”.

Anna ricomincia da capo e ci riesce, come ci riescono le piante che decide di curare e amare.

Questa storia aveva bisogno di un atto di verità e onestà perché fosse “vero” per gli altri.

Ci sono delle cose però nella storia vera che sarebbero state così tanto spettacolari che mi è toccato nasconderle, coincidenze talmente incredibili che però ho tolto per non far male a determinate persone.

Ho trovato che in questo libro la parola chiave sia “Sincerità”. Sincerità per chi l’ha scritto. Per chi lo legge – tante persone, con tante diverse declinazioni possono ritrovarsi in molteplici aspetti che tu hai raccolto. Sincerità nell’amore finito, sincerità nel dover crescere un figlio separati. Sono due le “sincerità” che mi hanno colpito in particolare: la “sincerità” nel descrivere la paura della malattia, della morte e dell’imprevisto. E poi la “sincerità” di raccontare la mancanza di presenza: la protagonista manca nel telefonare all’amica che sta molto male, ma la pensa. Trovo che sia una mancanza dovuta dal bisogno di stabilità, è così? È stato facile rivelarsi tanto pienamente?

Come negli altri c’è un senso di perdono, di compassione e di non giudizio, rendersi conto di essere stati a volte completamente ciechi o senza cura è giustificato. Il senso che volevo dare a questo libro è di movimento. Si cammina continuamente tra la passione e la malinconia del passato ma una sfrenata voglia di andare verso il futuro. Cercare di lasciarsi ma tenersi. E allo stesso modo avere cura, ma non giudicarsi se l’altro non lo fa. È quindi continuamente un tentativo di tenere più cose insieme in cui centra ance il “vivi anche se hai paura di quello che può succedere”. Stai qui, ama, ora. Non perderti. La sua salvezza sta nel minuscolo incantarsi, anche grazie alle più piccole cose quotidiane come aspettare la fioritura delle piante, oppure immaginare che anche un ramo ancora spoglio possa un giorno riservare qualcosa di magico e meraviglioso.

Tanti sono i salti di generazione in questo libro: la Roland Ultra ieri stampava importanti volumi letterari e oggi, dopo un periodo di stop, scatole di cartone in India.  La scrittura prima della separazione e la scrittura dopo, in mezzo una pausa. Le piante spoglie ieri, la meravigliosa foresta oggi. Le due figure maschili di riferimento per Anna sono il bambino e il nonno. Le uniche ad incarnare continuità in questo libro sono le donne. Mentre gli uomini rispecchiano la trasformazione, ma mantenendo fede al “salto” di generazione. Come mai? Gli uomini maturi oggi sono una generazione in standby? Interpretando positivamente l’ipotesi, dobbiamo sperare in una generazione futura?

Tutti gli uomini di tutta la mia vita stanno lì, mi guardano e ridono per quello che ho scritto! In genere o sono molto piccoli e ingenui o molto saggi, morti e vecchi. Oppure sono indiani – quindi sì, con quel gap di distanza culturale e di non affetto per cui incarnano una presenza gentile ma non così vivida per Anna. Nel presente della protagonista in effetti c’è un’esplorazione veramente indecisa rispetto al genere maschile. È un libro effettivamente molto “al femminile”. Ma in modo casuale.

Femminile ma non femminista. Si tratta di una riflessione più che di una provocazione a mio parere..

Sì sono d’accordo. Per quanto riguarda i due maschi (papà e ex marito, ndr) del presente, loro danno il senso del movimento tra passato e futuro. Quindi la malinconia di tutto quello che devi lasciare e tutto quello in cui ancora puoi credere. Però questo movimento è sempre un dubbio.

È importante l’immaginazione nella tua quotidianità? Le continue digressioni nel racconto mi hanno divertita un sacco, anche se ammetto che all’inizio mi innervosivano. Anna racconta ripercorrendo i momenti vissuti ma arricchisce tutto con connessioni di pensiero o voli pindarici altamente creativi.

Sì.. effettivamente le mie amiche, anche nelle chat su whatsapp, si disperano sempre per le risposte che do io. Loro parlano di qualcosa e io rispondo proponendo girasoli giganti e scritte “WOW”, come se vivessi continuamente in un romanzo. Per me, anche nel disastro, è sempre tutto un musical. Forse un po’ troppo, immagino che se non scrivessi sarei pazza! Perché ho un’immaginazione molto ingombrante.

Quindi, per te, non si può non scrivere?

Nono assolutamente. Ho bisogno di esternare, c’è troppa roba nel mio cervello.

Cosa vedi nel tuo futuro?

Questo libro intanto diventa un film. Io di solito non scrivo le sceneggiature dei miei libri, invece di questo mi piacerebbe. Perché solitamente mi sembra di dover “rientrare” dentro la storia già finita così come doveva, mentre in questo caso me la sentirei. Ho inoltre appena terminato un libro in inglese, scritto direttamente in lingua per la mia prima volta, che è in questi giorni in revisione agli editori inglesi e americani. Sto aspettando il sì definitivo perché l’hanno comperato per farne una serie TV, quelli che fanno “The Young Pope” e la saga di Elena Ferrante. Il libro si chiama “The Portrait” ed è la storia di due donne che amano da tutta la vita lo stesso uomo che però sta morendo: una è l’amante e l’altra è la moglie. L’amante si inventa una bugia per star vicino all’uomo e ogni giorni gli si siede accanto e si fa ritrarre dalla moglie.

Quando arriva l’ispirazione?

Io non aspetto l’ispirazione, io scrivo e basta. Da quando ero piccola io tutti i giorni scrivo. Come un maratoneta che si deve allenare o una suora che deve pregare. Tutti i giorni , qualunque cosa succeda, dalle 8.30 all’1 scrivo per me, mentre al pomeriggio scrivo per i lavori che mi vengono commissionati.

Il punto di forza di questo libro è che tu lo inizi e pensi di entrare nel deserto, nella siccità, nella paura e nella fatica, e invece poi lo chiudi e ti rimangono gli aspetti gentili, di bellezza e di cura.

 

“Faremo Foresta” è un libro, pesto sarà un film. Forse una canzone. Sicuramente un manifesto di libera felicità.

 

 

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