A tu per tu con…..Giuseppe Catozzella

In vista dell’uscita del suo nuovo libro, Il grande futuro, pubblicato da Feltrinelli, abbiamo incontrato l’autore che dopo i successi di Alveare e di Non dirmi che hai paura, ci ha dato qualche chiave di lettura sul suo nuovo romanzo.il grande fututo

Giuseppe ci spiega subito che nei suoi libri fonde la realtà con la fiction. Per lui questo significa partire dalla realtà per avvicinarsi alla “materia grezza” della sua narrazione, “un po’ come se fossi un giornalista d’inchiesta” – dice – “per poi cercare di inserire la storia che inseguo nell’universo della letteratura, che è l’opposto del mondo reale, data la sua universalità”. Questo è il suo modo di scrivere. “Tutti i miei romanzi sono in bilico tra questi due regni. All’inizio vado a piangere con le mie lacrime, vado a ridere con le mie risate assieme ai protagonisti reali, per poi iniziare il lavoro difficile, cioè riuscire a inserire questo materiale nell’universo della letteratura, con regole sue, con un suo linguaggio”. Il grande futuro non fa differenza in questo.

Come nasce questo romanzo?Il grande futuro nasce quattro anni fa, quando mosso dalla mia ossessione per gli scontri e i conflitti, approdo in Kenia. Mi ci porta la volontà di capire i modi in cui gli esseri umani generano e covano dentro di loro la violenza e il modo in cui la violenza incontra il mondo. Già con Alveare, e con Non dirmi che hai paura mi ero occupato del tema della violenza. Qui si tratta però proprio di guerra.” Ci dice che giunge al confine tra Somalia e Kenia a inseguire questa ossessione: “voler guardare da vicino ciò che la narrazione collettiva, ormai da secoli, rappresenta come il nostro nemico, il nemico giurato dell’occidente, “. Volevo guardarlo negli occhi, questo nemico.
Così ho incontrato Alì, un ragazzo di 25 anni. Stava sempre coperto, alla maniera dei beduini, con la kefia che copriva completamente il suo volto, tranne gli occhi. Gli occhi più profondi che io abbia mai visto. Nel suo percorso di vita, Alì, ha quindi sviluppato una consapevolezza che lo ha portato a volerla raccontare, la sua storia. E così, piano piano si è aperto, raccontandomi del suo passato. E in tre settimane ho avuto la possibilità di guardare negli occhi quello che era il mio nemico.

Cosa ti interessava di più in questa storia? Lo sguardo che attraverso la scrittura potevo avere dentro la violenza umana, e il suo opposto, cioè il riuscire, anche dopo tanta violenza, a voler arrivare a vedere la luce. Caratteristica umana, quella di voler vedere la luce. E questo è un romanzo in cui la “luce” ha un ruolo fondamentale.

Cosa ti ha colpito così tanto nella sua storia da decidere di volertici infilare anima e corpo? “Questo libro, come tutti quelli che ho scritto, l’ho vissuto come una questione di vita o di morte. In qualche modo ci metto sempre dentro tutto e a volte pure troppo”, aggiunge. “La cosa folgorante per me, con questa storia, è stata l’opportunità di immergermi nel buio, nella natura della violenza umana. E contemporaneamente nel suo opposto: cioè il voler giungere a vedere la luce, anche dopo tanta violenza. Dentro la guerra per uno scrittore c’è tutto.”

Se dovessi riassumere il romanzo in un passaggio, quale sceglieresti? Se dovessi scegliere un motto per il romanzo direi la frase pronunciata dall’ Imam Tarif ad un Amal ancora bambino: “La felicità è un diritto di tutti. Per quanto tu sia servo, figlio di servo, ultimo tra gli ultimi. Felicità intesa come quella lucina che allontana l’ uomo dalla violenza. Mi interessava questa curva.

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