Dopo tre anni dall’uscita del divertentissimo romanzo “Affari di famiglia”, Francesco Muzzopappa torna nelle nostre librerie con un nuovo incredibile romanzo “Dente per dente”. In una serata interessante e divertente Gabriele Scandolaro ha intervistato il grande autore per voi.
Dopo titoli intriganti come “Affari di famiglia” o “una posizione scomoda” arriva “dente per dente” un titolo molto particolare, quasi minaccioso. Come mai questo cambio di rotta?
Quando ho iniziato a scrivere “dente per dente” mi sono accorto che era un libro diverso rispetto a “una posizione scomoda” o a “affari di famiglia”. Era un libro con un taglio diverso, più serio, più amareggiato…potremmo dire quasi che era un libro “più malinconico” rispetto a quello che è poi uscito. Anche il titolo era differente. Inizialmente lo avevo chiamato “il ragazzo con le corna”. Ho dovuto lavorarci su molto e cambiare parecchie cose. Solo la copertina credo di averla cambiata una quarantina di volte.
All’interno del tuo romanzo si parla di un museo (inventato) che si trova a Varese, il Mu.Co. Perchè proprio questo nome?
Perchè in Italia c’è questa strana moda di utilizzare degli acronimi come nomi per musei di arte contemporanea. E ce ne sono davvero tantissimi come ad esempio il MADRE a Napoli, lo GNAM a Roma, il museo MAXXI, il MUDEC e potrei andare avanti, ho citato solo i più famosi. Io ho deciso di inventarmi il Mu.Co e l’ho collocato a Varese perchè è una città che amo e che frequento per motivi personali. Il Mu.Co è un museo particolare. Lì vi sono esposte le peggiori opere dei migliori artisti..delle croste d’autore insomma e nel libro ne vengono presentate alcune con tanto di descrizione. Queste opere, ci tengo a precisarlo, non sono fatte veramente da degli autori famosi. Le ho realizzate tutte io a mano ed è stato pure un lavoro lungo. Per ottenere quell’effetto ci ho messo quasi sette mesi di lavoro.
Perchè proprio un museo di arte contemporanea?
Perchè volevo fare satira sull’arte contempranea e sul suo mondo e volevo farlo fino in fondo. La satira fa un po’ parte della mia vita. Mi piace pensare che sia un atteggiamento “sano” di approcciarsi alla vita perchè permette di far riflettere, divertendo. La risata è importante ed è attraverso questa che noi possiamo avere i nostri “anticorpi” alla realtà che di occasioni di ridere ne offre ben poche.
A differenza di “affari di famiglia” questo romanzo è scritto in prima persona. Come mai questa scelta?
È stata una scelta voluta, quasi un esperimento. Il bello di essere un romanziere, o comunque di scrivere, è quello di poter sperimentare varie cose. Scrivere in prima persona è stato un esperimento e non è stato affatto facile. La narrazione in prima persona richiede molto, devi immedesimarti con i tuoi personaggi a un livello più “alto” rispetto alla narrazione in terza persona, devi guardare la storia attraverso gli occhi del protagonista, sentire come lui, pensare come lui. Inoltre si perde molto come descrizioni, non puoi permetterti pagine e pagine di dettagli come invece sarebbe possibile con un altro tipo di narrazione.
Ci parli dei personaggi?
I nomi li ho scelti con cura, li ho cercati e studiati con cura. Il nome connota la persona, ne descrive il carattere. Per esempio “Andrea”, la ragazza del protagonista volevo che avesse un carattere “forte” esattamente come “Ivan”, l’amico comunista di Leonardo doveva apparire “duro, inflessibile”. Inoltre i nomi dei personaggi dovevano essere adatti per le gag che avevo in mente. Mentre “Andrea” è un personaggio inventato, “Ivan” è stato costruito partendo da una persona che ho realmente conosciuto, era un mio compagno di liceo che come “Ivan” era politicamente schierato, senza essere così paradossale. Su Ivan ho voluto calcare un po’ la mano perchè volevo creare un personaggio di supporto che fosse il più paradossale possibile.
Scrivere romanzi umoristici è tanto complesso?
Un po’. Far ridere su carta è davvero complicato, non è come fare un film dove vedi tutta la scena e la risata parte immediata. È difficile quasi come scrivere un equazione, devi tenere conto di diverse variabili e di diversi stili. Io, personalmente, mi approccio al lettore utilizzando la comicità italiana, quella che conosciamo. Però non puoi fare un romanzo tutto così, al lettore può stufare o può non piacere quel tipo di comicità. Così, ad un certo punto, passo alla comicità inglese. Andiamo avanti nella storia e io ci piazzo un po’ di comicità americana. E così via, mescolando stili e tradizioni diverse. Ma per fare questo occorre essere grandi lettori e spaziare molto. Quando scrivo un romanzo, penso sempre di fare un “patto” con il lettore: prometto di farlo ridere e prendo questa promessa molto sul serio anche se sembra una cosa assurda. Per questo mi impegno molto.
Perchè secondo te si legge poco in Italia?
Ci sono molte ragioni, ma io credo che la più importante sia perchè abbiamo molti autori, magari stilisticamente molto validi, che quando scrivono lo fanno come se fossimo nel 1800, forse rifacendosi alle loro letture. Per quanto gli autori del passato siano molto validi e belli da leggere e si possa imparare molto da loro, imitare in tutto e per tutto il loro modo di scrivere significa imitare qualcuno che è morto. Non attira i lettori. Io so in che epoca vivo e scrivo sapendo in che epoca siamo io e il mio lettore. Forzare troppo la mano copiando i grandi del passato, secondo me, non invoglia le persone a leggere, specie i giovani che sono sempre più proiettati sui social network.