Al salone del libro di Torino quest’anno abbiamo avuto l’onore di incontrare ed intervistare Alessandro Perissonotto, scrittore e docente universitario. Lo scrittore agli esordi della sua carriera ha pubblicato libri che, per ambientazione e tematiche, l’hanno fatto rientrare fra gli scrittori di gialli. Negli ultimi anni i suoi romanzi sono stati spesso un mezzo per indagare sui mali della nostra società. L’ultimo suo libro “Coordinate d’Oriente” rientra in questo filone, infatti con il pretesto di raccontare le vicende di un imprenditore illuminato nella Cina di questi giorni illustra al lettore il problema della delocalizzazione delle fabbriche, la condizione economico e sociale cinese, le conseguenze socio- politiche della rivoluzione culturale di Mao ed anche le difficili condizioni in cui versavano gli operai in alcune fabbriche italiane nel secondo dopoguerra.
Iniziamo dal titolo del libro. Sia nel titolo che in ogni capitolo lei colloca geograficamente e temporalmente i fatti che descrive. La sua idea era quella che il lettore, per comprendere meglio gli eventi, doveva viaggiare con lei spaziando dalle fabbriche della Torino del dopoguerra alla rivoluzione culturale maoista degli anni 60 per arrivare ai nostri giorni?
Nelle mie intenzioni le coordinate geografiche devono giocare in un gioco di rimandi fra Torino e Shanghai sia nel tempo che nello spazio, come se chi legge dovesse, in vari luoghi e tempi, trovare una serie di indizi per capire meglio la complessità della situazione sociale. Avevo anche il desiderio di far capire al lettore che uno dei personaggi è il viaggio. Il viaggio, soprattutto quando la meta è lontana da noi, ci permette di lasciare alle spalle le nostre abitudini e guardare la realtà con uno sguardo più libero.
Nel suo romanzo ci sono tanti riferimenti letterari dal “Cuore di tenebra” di Conrad con il suo misterioso Kurtz, alle città invisibili di Calvino, ai riferimenti dell’antropologo Augé sui “non spazi” della città contemporanea” all’eros nel contatto fra Oriente ed Occidente della Duras con il suo “L’amante” per non dimenticare il rimando al “Mercante di Venezia”. Queste sue citazioni che a mio avviso arricchiscono il testo possono far pensare ad una comprensione ristretta a chi ha un buon bagaglio culturale. Crede che il suo testo, nella sua interezza, possa arrivare a tutti o ci siano diversi livelli di lettura.
Ogni libro anche quello per ragazzi ha differenti livelli di lettura. Le citazioni non hanno il compito di escludere nessuno, sono un tentativo semmai di usare i grandi scrittori di ogni tempo per spiegare, con la loro esperienza e visione della realtà, il nostro mondo. Gli autori che ho inserito nel libro sono un tributo che pago verso chi ha già affrontato, seppur in maniera diversa, tematiche simili alle mie. Credo che ogni storia rimandi ad altre storie, non c’è nulla di veramente nuovo, solamente espresso con altre parole. Forse alla fine posso dire che il citare altri libri possa quasi essere un invito alla lettura per chi non conosce questi libri.
Nel suo libro i personaggi spesso guardano al passato sia come spinta propositiva che come riflessione su quello che da giovani sembrava giusto ed affascinante. Mi ha colpito quando Pietro sentendo da Jin le nefandezze della rivoluzione culturale maoista si ricordi come quando era giovane fosse facile, non conoscendo tutto, simpatizzare per Mao e la sua rivoluzione. In questo facile coinvolgimento collettivo vede forse come l’agire in massa impedisca all’uomo di vedere tutti i lati di un avvenimento?
Esistono momenti di infatuazione che portano l’uomo verso la massa. L’uomo spesso, in gioventù, cerca una specie di condivisione di interessi e valori. La mia generazione ha preso delle cantonate clamorose non credo per ignoranza quanto per una speranza in un mondo diverso. Oramai è difficile credere nelle ideologie dopo quello che abbiamo visto nel secolo passato. Credo che il loro fallimento sia dovuto al fatto che tendevano a credere in una possibile perfezione dell’essere umano cosa che s’è rivelata fallace.
La figura di Pietro Fogliatti è quella di un sognatore che non si arrende mai, uno che ha visto gli effetti devastanti dello sviluppo industriale e che fa di tutto per cambiare la società anche quella più monolitica come quella cinese. Nel delineare questo personaggio si è forse ispirato a qualche imprenditore del passato?
Quando si parla di imprenditori responsabili e sognatori viene spesso in mente la figura di Olivetti. In realtà la mia intenzione è quella di mostrare al lettore uno spirito vivo che lotta contro gli schemi e le tradizioni. Mi piacerebbe mostrare la speranza di un differente modo di far impresa che guardi meno alla curva del profitto e più ai bisogni dell’uomo.
Spesso si ricorda il motto latino in cui si afferma che la Storia è maestra di vita. Nel suo romanzo, come nella vita, sembra invece che la tendenza sia quella di ripetere gli errori del passato solamente cercando di evitare che le conseguenze del nostro agire abbiano effetto su di noi. Crede che all’uomo basti spostare le fabbriche lontano dal suo sguardo perchè non si indigni delle condizioni di altri simili come lui?
Il mondo di oggi è molto complesso e l’uomo è continuamente interconnesso. Noi non riusciamo più a reggere tutti gli stimoli e cerchiamo un riparo per non soffrire troppo empaticamente. La distanza attutisce e rende tutto più sopportabile. L’uomo occidentale fa fatica e prova spesso disinteresse verso chi non ha strette relazioni con lui.
Nella relazione fra Jin e Pietro do incontrano due mondi diversi, ma che il passato ed i lutti avvicina ed unisce. Crede che questo rapporto ben delineato attraverso la musica suonata da Jin (Offenbach e Ravel) e caratterizzato dai passaggi graduali di una vera conoscenza che passa dal rispetto, all’amicizia e poi si conclude nell’amore possa essere un messaggio verso le relazioni basate sulla compravendita (vedesi il mercato domenicale delle donne in Cina) o le tante violenze domestiche?
Il mio romanzo non ha lo scopo di insegnare a vivere e non vuole proporre modelli. Io mostro delle situazioni ideali in cui la coppia non brucia subito di passione, ma in cui c’è un tentativo di avvicinarsi graduale all’altro, in cui lo si rispetta nella diversità ed ognuno con il tempo conosce sè stesso e l’altro.
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