A poco tempo dall’uscita del suo primo romanzo, Per chi è la notte edito da Fazi e recensito sul nostro Blog, il giovane scrittore Aldo Simeone racconta la sua esperienza come scrittore in una speciale intervista dedicata ai nostri lettori del Venerdì.
Quando è nata l’idea di questo romanzo?
Parecchi anni fa, mentre mi accanivo a ideare un romanzo pubblicabile. Avevo accumulato parecchi rifiuti, per fortuna. Ora mi vergogno al ricordo di quello che scrivevo. E di come scrivevo. M’intrigava la sfida della paura: riuscire a spaventare il lettore. Elucubravo soluzioni assurde. Poi ebbi una discussione illuminante: mi raccontarono di un film dell’orrore che ruota intorno a un buco nel pavimento. In cui casca un cane. Lo chiamano, cercano di tirarlo fuori, ma niente. Per giorni si sente il raspare del cane sotto l’assito. E altri rumori. Capii che la paura è data dal vuoto, dal non visto, dal non detto: nasce per sottrazione. Così immaginai un bosco di cui non è dato sapere nulla. E qualcuno, o qualcosa, che vi si aggira.
Francesco: genesi di un personaggio.
Le grandi paure sono quelle dei bambini – insegna Henry James. Ogni due bambini, si dà un giro alla vite. Perciò pensai a due protagonisti di undici anni. Dovevano essere speculari: uno pieno di paure e di fede nel mistero, l’altro scettico ed egli stesso misterioso. Francesco e Tommaso sono nati insieme: l’uno l’ombra dell’altro. Man mano che nella mia mente si sviluppava la storia, i due personaggi agivano nella coerenza dei loro caratteri e a volte prendevano strade diverse da quelle che gli imponevo: la storia la riscrivevano loro.
Come è nato il tuo interesse per le figure degli streghi? Fanno realmente parte del folklore popolare e hanno davvero quelle peculiarità di cui parli nel libro oppure hai messo qualcosa di tuo nella loro descrizione?
Non è nato per caso o per coincidenza, devo ammetterlo: gli streghi li ho cercati. Avevo letto Mal’aria di Eraldo Baldini, e mi aveva colpito molto il modo in cui l’autore riusciva a tirar fuori atmosfere di “genere” dal folklore. La stessa cosa mi aveva impressionato in alcuni film, per esempio L’orfanotrofio di Juan Antonio Bayona: in quel caso erano i giochi dei bambini e le filastrocche a generare il brivido. Così mi sono documentato sulle leggende e i miti della mia Toscana, perché avevo bisogno di un retaggio che mi appartenesse davvero. Ho trovato gli streghi della Garfagnana, ed è scoccata la scintilla. Tutto quello che scrivo nel romanzo è documentato, ma proprio perché il mito degli streghi è piano di punti oscuri e di mistero, ho potuto riempire i vuoti con l’invenzione e dare una mia interpretazione della leggenda. L’aspetto che più mi affascina degli streghi, e che ho voluto marcare, è la loro natura ambigua: sono davvero malvagi? Perché? Dove sono diretti? Qual è il loro scopo?
Il tuo è un romanzo che parla di crescita, formazione, amicizia ambientato durante il secondo conflitto mondiale. C’è un perché particolare per cui hai voluto proprio questo momento storico come sfondo?
Sì: volevo che alla paura infantile, fantastica degli streghi si contrapponesse una paura reale, adulta, e che questa incombesse come un grande conto alla rovescia per accelerare il ritmo degli eventi verso la catastrofe finale. È stata la Garfagnana a farmici pensare: la guerra! In quei monti e quei boschi c’è stata davvero e sanguinosamente. Vi sono ancora tracce evidenti del suo passaggio: bunker, ferite, relitti. Per me, la guerra è una cosa spaventosa, persino difficile da pensare: il sovvertimento dell’ordine, della morale, della legge. Lo sconquasso.
Quando nasce la tua passione per la scrittura e la lettura?
Ricordo un momento preciso: ero alle medie e l’insegnante d’italiano aveva organizzato una biblioteca di classe. In precedenza avevo sempre snobbato la lettura. Se qualcuno mi regalava un libro per Natale o per il compleanno, era la delusione. Il piccolo principe e Il giro del mondo in 80 giorni, che invano mia mamma mi avevano comprato, li strapazzai senza darci un’occhiata. Forse si trattava solo di trovare il libro giusto. Lo fu La famosa invasione degli orsi in Sicilia, pescato dalla biblioteca di classe. Lo divorai, restituendolo il giorno successivo. L’insegnante se ne meravigliò. Il suo stupore mi riempì d’orgoglio e così presi a leggere convulsamente ogni altro libro a disposizione. Quando esaurii la biblioteca di classe, mi ripiegai sulla libreria di casa e trovai Uno, nessuno e centomila. Dissi all’insegnante che l’avevo letto, ma lei protestò: no, non potevo averlo capito, era un libro da grandi. Allora mi feci interrogare. Il bel voto che ottenni fu il suggello del mio amore per la lettura. Tutte le principali svolte della mia vita (lo ammetto con qualche vergogna) sono frutto di sfide o scommesse. Dev’essere per colpa della mia Luna in Leone…
Che libri/autori consiglieresti a un lettore?
L’ultima lettura che mi ha lasciato a bocca aperta (e col fiato corto) è Le Case del malcontento, di Sacha Naspini. Un capolavoro. Per stile, complessità dell’ordito, originalità, potenza immaginativa. Lo consiglio, anzi, lo prescrivo a tutti. Ne imporrei la lettura per legge, se non sapessi che l’esito sarebbe nefasto com’è stato per I promessi sposi. Poi raccomando l’incontro con Jeffrey Eugenides, soprattutto i suoi primi due romanzi: Le vergini suicide e Middlesex. Deludente il terzo, La trama del matrimonio. Nel mio personale olimpo sta anche Michela Murgia con Accabadora. E come Michela Murgia, anch’io sono un fan di Stephen King, soprattutto il King che dà voce all’infanzia: It, La bambina che amava Tom Gordon, Il corpo. Tra le voci nuove, mi ha impressionato Mirko Sabatino con L’estate muore giovane. Da tenere d’occhio.
Quando tornerai in libreria? Che progetti hai per il futuro?
Spero prestissimo, se l’editore me lo consente. Ho già terminato un nuovo romanzo, ma sono ancora impastoiato nella lenta, lunga, faticosa revisione. Sono un insoddisfatto cronico. È per questo che non rileggo Per chi è la notte: altrimenti lo correggerei ancora. Mi sono dato come scadenza il capodanno: da gennaio, voglio sottoporre il testo alla lettura dei miei fidati e affilati amici. Anche perché mi martella in testa il toc toc di un terzo romanzo che bussa e spintona per entrare… Ovviamente c’è il terrore di deludere. Sono determinato a seguire una strada che non so quanto possa piacere: vorrei abbattere il muro che separa il racconto di genere dalla letteratura “alta”, che definirei psicosociale. Sogno un mondo in cui Stephen King possa vincere il Nobel. Che follia!
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