
Autore: Brosh Allie
Casa Editrice: salani
Genere: Satira, Umorismo
Traduttore: Cristina Scalabrini
Pagine: 253
Prezzo: 16,00 euro
Da blog seguito quotidianamente da circa un milione e mezzo di lettori e visitatori a libro che è già diventato caso letterario.
Un pesciolino stilizzato dai grandi occhi e con il corpo che sembra avvolto in una maglia tubino tra il rosa e il fucsia, un “cane scemo” e uno “aiutante” e la capacità di Allie Brosh, che nel 2009 ha aperto il blog diventato punto di riferimento per moltissimi lettori, di narrare con ironia e autoironia storie della sua vita, di parlare di motivazione, identità e anche depressione. Quella che le fa scrivere che “Certe persone hanno un buon motivo per essere depresse, ma io no. Un giorno mi sono semplicemente svegliata triste e confusa senza nessunissimo motivo. È spiacevole essere tristi senza una ragione. La tristezza può essere quasi piacevole quando hai un modo per giustificarla. Puoi ascoltare una musica triste e immaginarti come il protagonista di un film drammatico. […] Ma la mia tristezza non aveva uno scopo”. Che le fa raccontare, attraverso il pesciolino, a parole e a fumetti i tentativi di uscire, dalla tristezza e dalla depressione, l’incapacità di alzarsi dal divano, di uscire, i sentimenti e le frustrazioni, la ricerca di qualcosa che possa divertire, il percorso che, senza retorica e in maniera diretta, porta a cercare una via d’uscita.
Si intitola “Un’iperbole e mezza”, questo libro tra parole e disegni, lo stesso titolo del blog, a cui, se mai servisse qualcosa in più a ciò che rimanda a una figura retorica che già consiste nell’esagerazione, nell’amplificazione, con l’aggiunta di un’altra metà, l’autrice assegna anche un “sottotitolo” piuttosto lungo e strano. “Il mio cane è scemo, il mondo è crudele e io sono sconnessa più che mai”. E leggendo sembra sempre di avere a che fare con quella bambina che incontriamo nelle prime pagine, e che a dieci anni scrive una lettera a se stessa quando di anni ne avrò venticinque, chiedendole “per favore” una risposta e seppellendola in giardino. Da dove sarà dissotterrata con due anni di ritardo. “Diciassette anni dopo, mi ricordai che avrei dovuto dissotterrarla due anni prima. Pregustavo quello sguardo nostalgico sulla mia infanzia: forse mi sarei stupita della mia ingenuità o avrei intravisto il primo barlume delle mie attuali aspirazioni. E invece finii soltanto per restare molto perplessa”.
L’adulta guarda la realtà da quello che è rimasto della sua infanzia, e da lì parte per narrare con uno sguardo cresciuto, ma capace ancora di sentire ciò che provava da bambina davanti a quanto accadeva, alle novità, ai fatti, alle quotidianità che potevano andare dalla voglia di mangiare a tutti i costi e subito una torta a quando portarono a casa dal canile un secondo cane, da affiancare al primo, già definito “scemo”, e che avrebbe dovuto essere un aiutante, mentre si rivela un animale che “crede fermamente che gli altri cani non dovrebbero esistere. Il fatto che lo facciano lo riempie di un’incontrollabile furia psicotica. […] Se ha la sensazione che un cane nelle vicinanze si stia divertendo, fa tutto ciò che è in suo potere per rovinargli la giornata”.
E nonostante la presenza in casa di due cani non proprio modello, quello che si racconta è un affetto dei padroni per i loro animali e il loro tentativo di “risolvere” i loro problemi con le tattiche” più diverse.
Ricorda il blog, il modo di scrivere che la Brosh utilizza in questo libro. E infatti include alcuni passaggi del web, oltre a contenuti nuovi. Ti invoglia a leggerlo proprio per questo: perché non sai la nuova storia che ti viene raccontata che cosa sarà, che nesso avrà, se ne avrà, con le precedenti, e come farà, senza mai lasciarsi andare allo sconforto, ma giocando sempre sull’ironia, a raccontare vicende dolorose, difficili, pesanti, come, appunto, quella legata alla depressione. Fino alla ricerca del proprio generatore di autostima, con una conclusione che viene lasciata al fumetto. E al volersi imbrogliare un po’, qualche volta, davanti a qualcosa di noi che magari non ci piace come vorremmo. Saperlo, che stiamo imbrogliando noi stessi, ma continuare a farlo. “Perché mi fa star bene”.
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