C’era una volta una cittadina periferica, nebbia d’inverno afa d’estate, tanto cemento e poco verde, troppe le industrie che ne popolano la circoscritta superficie. C’era una volta un sogno, o meglio una sfida: che diventi Capitale Italiana per la Cultura 2018. Non è una favola, è una storia vera, ed il piccolo centro si trova nella periferia Torinese, i suoi abitanti sono circa 50.000, il suo nome: Settimo Torinese. È una periferia, una zona da sempre conosciuta in questo modo, che però quest’anno ha deciso di proporsi al titolo per la nomina del 2018, portando argomentazioni che portano dubbi anche ai più scettici. Dopo città come Mantova e Pistoia, il 30 giugno anche Settimo, che appare sulla strada che collega Torino con Milano, ha presentato il suo dossier. Il tentativo è quello diffondere e sensibilizzare l’opinione pubblica all’idea che “cultura” non è solo la indubbia e necessaria bellezza dei musei, monumenti e di panorami in grado di raccontare la storia, come quelli delle città d’arte, ma anche quella parte “politecnica” della cultura, quella della manifattura, quella delle fabbriche e del “saper fare”, dell’innovazione tecnologica e sociale, della ricerca, delle relazioni produttive, dell’accoglienza e dell’integrazione. L’idea che anche una città senza monumenti e con tanto grigio, ma portato da fabbriche del calibro di Pirelli, l’Oreal e Lavazza, con attori sociali importanti ed istituzioni non da meno, sia in grado e possa permettersi di partecipare al concorso per la nomina di Capitale Italiana per la Cultura 2018.
Settimo Torinese si candida Capitale Italiana per la Cultura 2018
13 Luglio 2016